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A new, moving interview on La Repubblica.

Mika talks about a duet with another Italian singer, and again about homophobia issues.

 

MIKA: "HO ROTTO IL MURO DELL'OMOFOBIA E NON HO PAURA" 

"Se aggredito reagisco, non mi faccio calpestare. E poi c'è un esercito di bravi ragazzi pronti a difendermi: Bowie, Cocteau, Cole Porter...". L'artista inglese-libanese-siriano, nonché giudice di X-Factor, parla di omofobi, bulli e spiriti liberi. E confessa: "Canto perché non sapevo scrivere"

 

ROMA - Se l'Italia l'ha accolto a braccia aperte, dice, è tutto merito della sua "caldezza" mediterranea. "È stata una sorpresa, non mi aspettavo che questo paese diventasse parte della mia vita", dice Mika, che del suo personale esperanto - ma ormai parla italiano fluentemente - ha fatto un ulteriore elemento di simpatia. "Sono nato in Inghilterra ma ho nelle vene sangue libanese e siriano - tutto questo ha condizionato in maniera determinante la mia musica e il mio universo visuale". Quando nel 2007 trionfò nelle classifiche di mezzo mondo con il singolo Grace Kellye l'album Life in Cartoon Motion, l'Italia era l'ultima delle sue priorità. Ma poi è scattata un'attrazione reciproca, complice X-Factor, dove è garbato e irresistibile giurato anche in questa nona edizione.

 

Ma c'è di più dopo dieci milioni di copie vendute: il successo dell'ultimo album No Place in Heaven, un libro per Rizzoli in lavorazione "che è un'estensione della rubrica che scrivevo su XL di Repubblica", un tour di grande impatto teatrale realizzato con un'équipe tutta italiana (il 27 settembre a Milano, il 29 a Roma, il 30 a Firenze), "una bomba di pop song" appena registrata con Fedez e un duetto "con un super super big della canzone italiana di cui non posso ancora rivelare il nome", tanto big che gli occhi quasi gli schizzano fuori dalle orbite per la gioia, e vien da pensare a Mina o Celentano. Lunare, creativo, dinamico, esplosivo sul palco; affettuoso, familiare, tenero, ottimista in tivvù, Mika, trentadue anni, è una presenza che fa pensare all'indimenticato Don Lurio. Poi il gelo di quest'estate. Su un manifesto del concerto fiorentino di Mika un cretino scrive con la vernice FROCIO a caratteri cubitali. Un tempo sarebbe passato sotto silenzio, ne abbiamo visti a centinaia di quegli insulti, persino sui manifesti elettorali, e non solo in Italia. Oggi è un'altra storia, il villaggio globale fibrilla di conformismo, diverso da quando negli anni Settanta si rumoreggiava che Jagger e Bowie se la spassassero e nessuno tranne i tabloid si scaldava più di tanto. Oggi si è ufficialmente omosessuale solo dopo il coming out  -  e Mika l'ha fatto tagliando la testa ai si dice. Ad amplificare qualsiasi banalità ci pensa il web, i social sono una cassa di risonanza più minacciosa che utile. L'insulto a Mika è diventato il caso dell'estate.

 

Si è sentito tradito dall'Italia quando la scritta omofoba è cominciata a circolare in rete?

"No. Mi sono arrabbiato perché quando per tanto tempo hai subìto questo tipo di violenza risprofondi spietatamente nel passato. Uno spaventoso riflesso emozionale: mi sono sentito esattamente come quando da adolescente mi prendevano in giro. In un microsecondo sono tornato a scuola, quando deridevano la mia sessualità e io non avevo ancora scoperto di avere una sessualità. Da quel tipo di sentimento non ne esci, non cambia, suppongo sia lo stesso se avessi cinquant'anni o settantacinque".

 

Qual è stata la prima reazione?

"All'inizio ho cercato di ignorare la cosa, pensando che il silenzio sarebbe stata la risposta migliore. Come facevo da ragazzo: fingere di non vedere, guardare dall'altra parte. Poi ho cominciato a vedere l'indignazione del mio fan club che cresceva e cresceva, e dopo dieci ore ho capito che far finta di nulla era un privilegio che non potevo permettermi. Là fuori ci sono tanti quattordicenni o magari anche adulti che non hanno la libertà che mi sono conquistato attraverso l'arte, non hanno quella zona franca che è il palcoscenico dove tutto è permesso, anche essere se stessi senza pregiudizi, interferenze, bullismo. A loro non è concesso di guardare dall'altra parte, di ignorare quegli insulti senza pagarne le conseguenze. Dovevo trovare un modo di gestire la situazione, ho cominciato a usare quell'immagine come una bandiera, l'ho sbattuta anche sul mio profilo twitter. Ho rotto il muro di pudore e di silenzio, quel sorvolare borghese che spesso fa seguito a episodi del genere".

 

E la risposta del pubblico?

"Sorprendente, assolutamente sorprendente. Non me l'aspettavo. La solidarietà non è arrivata solo dagli amici o dai fan, ma incredibilmente anche dalla stampa. A quel punto la foto con la scritta non era più una cosa che parlava solo di me ma un manifesto, un J'accuse , una piccola onda che ne ha generato una più grande e infine una immensa".

 

Siamo abituati a credere che le pop star, che da sempre giocano con l'ambiguità, sono immuni da questo tipo di problemi. Evidentemente un conto sono le allusioni altro è un coming out forte e chiaro come quello che hanno fatto artisti come lei, Michael Stipe o Tiziano Ferro.

"Non ne farei un fatto politico. Un cantante è un cantante e basta. La mia dimensione pubblica è quella che mostro sul palco. Lo faccio con discrezione e gentilezza, non voglio entrare nella vita degli altri o mettere a soqquadro le famiglie, rispetto le scelte anche quando sono diametralmente opposte alle mie, anche quando propongono un modello sociale o religioso che non è il mio  -  una sorta di gentlemen agreement . Ma di fronte a comportamenti violenti, aggressivi o abusivi la mia reazione cambia. Mi rifiuto di farmi calpestare, non mi metto a tappetino, non lo facevo neanche alle medie quando non potevo seguire il resto della classe perché ero dislessico".

 

In che modo la musica le ha dato modo di reagire positivamente senza continuare ad accumulare traumi?

"L'arte - cinema, musica, letteratura - è sempre un invito alla tolleranza. Quando penso a David Bowie vedo un artista, un gigante, che è stato in grado di comunicare in maniera totale e prepotentemente creativa al di sopra della politica e della sessualità. Ambiguo nel vero senso della parola, un vessillo di libertà, indefinibile, non etichettabile".

 

Come riusciva da ragazzo a compensare la paura e il disagio del bullismo? Con i sogni?

"Non erano sogni, erano film. Era la mia realtà, il mio universo, ci sprofondavo dentro quotidianamente. A nove anni mi hanno buttato fuori da scuola, ero diventato il bersaglio di un'insegnante isterica che aveva deciso di distruggermi. Come gli altri ragazzini che avevano subìto i suoi abusi mi ero chiuso in me stesso e mi rifiutavo di parlare. Un giorno me ne andai e lasciai la mia cartella in mezzo alla strada. Fu mia sorella Paloma a scoprire la verità e riferì a mio padre. Lui venne a scuola e disse all'insegnante quel che tutti pensavamo di lei: "Professoressa, lei è una strega, abbiamo scoperto quel che sta facendo ai ragazzi". Dopo venti minuti eravamo nell'ufficio del preside: "Signor Penniman, lei e suo figlio non potete più metter piede in questa scuola", ci disse. Che sollievo. È stato il più bel giorno della mia vita, ce ne tornammo a casa ballando, cantando "Ding dong the witch is dead" ("La strega è morta", dal Mago di Oz ). Papà mi disse: "Non sai scrivere? Non riesci a leggere? Canta!". A quel punto, spronato anche da mia madre, cominciai a studiare musica, canto e pianoforte, e in quel modo, libero, lavorai cento volte di più che a scuola. Dopo dieci mesi cantavo alla Royal Opera House di Londra".

 

I good guys, quei bravi ragazzi della sua canzone  -  Rufus Wainwright, James Dean, Bowie, Ralph Waldo Emerson, Wilfred Owen, Walt Whitman, Rimbaud, Kinsey, Cole Porter, Cocteau  -  erano un piccolo, immaginario esercito che lavorava in sua difesa.

"Lo è ancora oggi, mi canta la ninnananna, con lui al fianco potrei affrontare la fine del mondo e anche il giorno del giudizio".

 

Ma lei canta anche: dove sono andati tutti quei bravi ragazzi gay? Vuol dire che per gli artisti gay oggi è più difficile dichiarare la propria sessualità?

"La realtà è che oggi non abbiamo più tante icone gay, personaggi scomodi anche senza essere politici, senza incontrare leader e presidenti, senza fare discorsi alle Nazioni Unite. La loro forza stava in quello che scrivevano e cantavano, agivano senza pensare alle conseguenze. Il fatto di esistere era già di per sé rivoluzionario. Sono loro che hanno acceso questi colori forti dentro di me, mi hanno dato l'ardire di provocare senza aver paura".

 

Cosa dirà al pubblico durante il concerto di Firenze?

"Nessun messaggio, nessuna polemica, parlerò attraverso la musica e l'energia dei miei fan. Faremo rumore insieme, per esprimere gioia e tolleranza. La risposta all'insulto è: siamo qui, siamo tanti, siamo forti".

Edited by guendy96
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A new, moving interview on La Repubblica.

Mika talks about a duet with another Italian singer, and again about homophobia issues.

 

Here's the link, just in case :thumb_yello:http://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2015/09/20/news/mika-123267610/#gallery-slider=123248770

 

About the new duet: "A super super big Italian singer that I can't reveal yet"

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A new, moving interview on La Repubblica.

Mika talks about a duet with another Italian singer, and again about homophobia issues.

 

MIKA: "HO ROTTO IL MURO DELL'OMOFOBIA E NON HO PAURA" 

"Se aggredito reagisco, non mi faccio calpestare. E poi c'è un esercito di bravi ragazzi pronti a difendermi: Bowie, Cocteau, Cole Porter...". L'artista inglese-libanese-siriano, nonché giudice di X-Factor, parla di omofobi, bulli e spiriti liberi. E confessa: "Canto perché non sapevo scrivere"

 

ROMA - Se l'Italia l'ha accolto a braccia aperte, dice, è tutto merito della sua "caldezza" mediterranea. "È stata una sorpresa, non mi aspettavo che questo paese diventasse parte della mia vita", dice Mika, che del suo personale esperanto - ma ormai parla italiano fluentemente - ha fatto un ulteriore elemento di simpatia. "Sono nato in Inghilterra ma ho nelle vene sangue libanese e siriano - tutto questo ha condizionato in maniera determinante la mia musica e il mio universo visuale". Quando nel 2007 trionfò nelle classifiche di mezzo mondo con il singolo Grace Kellye l'album Life in Cartoon Motion, l'Italia era l'ultima delle sue priorità. Ma poi è scattata un'attrazione reciproca, complice X-Factor, dove è garbato e irresistibile giurato anche in questa nona edizione.

 

Ma c'è di più dopo dieci milioni di copie vendute: il successo dell'ultimo album No Place in Heaven, un libro per Rizzoli in lavorazione "che è un'estensione della rubrica che scrivevo su XL di Repubblica", un tour di grande impatto teatrale realizzato con un'équipe tutta italiana (il 27 settembre a Milano, il 29 a Roma, il 30 a Firenze), "una bomba di pop song" appena registrata con Fedez e un duetto "con un super super big della canzone italiana di cui non posso ancora rivelare il nome", tanto big che gli occhi quasi gli schizzano fuori dalle orbite per la gioia, e vien da pensare a Mina o Celentano. Lunare, creativo, dinamico, esplosivo sul palco; affettuoso, familiare, tenero, ottimista in tivvù, Mika, trentadue anni, è una presenza che fa pensare all'indimenticato Don Lurio. Poi il gelo di quest'estate. Su un manifesto del concerto fiorentino di Mika un cretino scrive con la vernice FROCIO a caratteri cubitali. Un tempo sarebbe passato sotto silenzio, ne abbiamo visti a centinaia di quegli insulti, persino sui manifesti elettorali, e non solo in Italia. Oggi è un'altra storia, il villaggio globale fibrilla di conformismo, diverso da quando negli anni Settanta si rumoreggiava che Jagger e Bowie se la spassassero e nessuno tranne i tabloid si scaldava più di tanto. Oggi si è ufficialmente omosessuale solo dopo il coming out  -  e Mika l'ha fatto tagliando la testa ai si dice. Ad amplificare qualsiasi banalità ci pensa il web, i social sono una cassa di risonanza più minacciosa che utile. L'insulto a Mika è diventato il caso dell'estate.

 

Si è sentito tradito dall'Italia quando la scritta omofoba è cominciata a circolare in rete?

"No. Mi sono arrabbiato perché quando per tanto tempo hai subìto questo tipo di violenza risprofondi spietatamente nel passato. Uno spaventoso riflesso emozionale: mi sono sentito esattamente come quando da adolescente mi prendevano in giro. In un microsecondo sono tornato a scuola, quando deridevano la mia sessualità e io non avevo ancora scoperto di avere una sessualità. Da quel tipo di sentimento non ne esci, non cambia, suppongo sia lo stesso se avessi cinquant'anni o settantacinque".

 

Qual è stata la prima reazione?

"All'inizio ho cercato di ignorare la cosa, pensando che il silenzio sarebbe stata la risposta migliore. Come facevo da ragazzo: fingere di non vedere, guardare dall'altra parte. Poi ho cominciato a vedere l'indignazione del mio fan club che cresceva e cresceva, e dopo dieci ore ho capito che far finta di nulla era un privilegio che non potevo permettermi. Là fuori ci sono tanti quattordicenni o magari anche adulti che non hanno la libertà che mi sono conquistato attraverso l'arte, non hanno quella zona franca che è il palcoscenico dove tutto è permesso, anche essere se stessi senza pregiudizi, interferenze, bullismo. A loro non è concesso di guardare dall'altra parte, di ignorare quegli insulti senza pagarne le conseguenze. Dovevo trovare un modo di gestire la situazione, ho cominciato a usare quell'immagine come una bandiera, l'ho sbattuta anche sul mio profilo twitter. Ho rotto il muro di pudore e di silenzio, quel sorvolare borghese che spesso fa seguito a episodi del genere".

 

E la risposta del pubblico?

"Sorprendente, assolutamente sorprendente. Non me l'aspettavo. La solidarietà non è arrivata solo dagli amici o dai fan, ma incredibilmente anche dalla stampa. A quel punto la foto con la scritta non era più una cosa che parlava solo di me ma un manifesto, un J'accuse , una piccola onda che ne ha generato una più grande e infine una immensa".

 

Siamo abituati a credere che le pop star, che da sempre giocano con l'ambiguità, sono immuni da questo tipo di problemi. Evidentemente un conto sono le allusioni altro è un coming out forte e chiaro come quello che hanno fatto artisti come lei, Michael Stipe o Tiziano Ferro.

"Non ne farei un fatto politico. Un cantante è un cantante e basta. La mia dimensione pubblica è quella che mostro sul palco. Lo faccio con discrezione e gentilezza, non voglio entrare nella vita degli altri o mettere a soqquadro le famiglie, rispetto le scelte anche quando sono diametralmente opposte alle mie, anche quando propongono un modello sociale o religioso che non è il mio  -  una sorta di gentlemen agreement . Ma di fronte a comportamenti violenti, aggressivi o abusivi la mia reazione cambia. Mi rifiuto di farmi calpestare, non mi metto a tappetino, non lo facevo neanche alle medie quando non potevo seguire il resto della classe perché ero dislessico".

 

In che modo la musica le ha dato modo di reagire positivamente senza continuare ad accumulare traumi?

"L'arte - cinema, musica, letteratura - è sempre un invito alla tolleranza. Quando penso a David Bowie vedo un artista, un gigante, che è stato in grado di comunicare in maniera totale e prepotentemente creativa al di sopra della politica e della sessualità. Ambiguo nel vero senso della parola, un vessillo di libertà, indefinibile, non etichettabile".

 

Come riusciva da ragazzo a compensare la paura e il disagio del bullismo? Con i sogni?

"Non erano sogni, erano film. Era la mia realtà, il mio universo, ci sprofondavo dentro quotidianamente. A nove anni mi hanno buttato fuori da scuola, ero diventato il bersaglio di un'insegnante isterica che aveva deciso di distruggermi. Come gli altri ragazzini che avevano subìto i suoi abusi mi ero chiuso in me stesso e mi rifiutavo di parlare. Un giorno me ne andai e lasciai la mia cartella in mezzo alla strada. Fu mia sorella Paloma a scoprire la verità e riferì a mio padre. Lui venne a scuola e disse all'insegnante quel che tutti pensavamo di lei: "Professoressa, lei è una strega, abbiamo scoperto quel che sta facendo ai ragazzi". Dopo venti minuti eravamo nell'ufficio del preside: "Signor Penniman, lei e suo figlio non potete più metter piede in questa scuola", ci disse. Che sollievo. È stato il più bel giorno della mia vita, ce ne tornammo a casa ballando, cantando "Ding dong the witch is dead" ("La strega è morta", dal Mago di Oz ). Papà mi disse: "Non sai scrivere? Non riesci a leggere? Canta!". A quel punto, spronato anche da mia madre, cominciai a studiare musica, canto e pianoforte, e in quel modo, libero, lavorai cento volte di più che a scuola. Dopo dieci mesi cantavo alla Royal Opera House di Londra".

 

I good guys, quei bravi ragazzi della sua canzone  -  Rufus Wainwright, James Dean, Bowie, Ralph Waldo Emerson, Wilfred Owen, Walt Whitman, Rimbaud, Kinsey, Cole Porter, Cocteau  -  erano un piccolo, immaginario esercito che lavorava in sua difesa.

"Lo è ancora oggi, mi canta la ninnananna, con lui al fianco potrei affrontare la fine del mondo e anche il giorno del giudizio".

 

Ma lei canta anche: dove sono andati tutti quei bravi ragazzi gay? Vuol dire che per gli artisti gay oggi è più difficile dichiarare la propria sessualità?

"La realtà è che oggi non abbiamo più tante icone gay, personaggi scomodi anche senza essere politici, senza incontrare leader e presidenti, senza fare discorsi alle Nazioni Unite. La loro forza stava in quello che scrivevano e cantavano, agivano senza pensare alle conseguenze. Il fatto di esistere era già di per sé rivoluzionario. Sono loro che hanno acceso questi colori forti dentro di me, mi hanno dato l'ardire di provocare senza aver paura".

 

Cosa dirà al pubblico durante il concerto di Firenze?

"Nessun messaggio, nessuna polemica, parlerò attraverso la musica e l'energia dei miei fan. Faremo rumore insieme, per esprimere gioia e tolleranza. La risposta all'insulto è: siamo qui, siamo tanti, siamo forti".

 

 

Repubblica 20.09.2015

 

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Click here to original version

 

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I'm doing a translation of it :wink2:

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"Sono nato in Inghilterra ma ho nelle vene sangue libanese e siriano"

(Translation: I was born in the UK but I've got Lebanese and Syrian blood in my veins)

 

Seriously??? I can't believe he actually said so after all the times he said that he was born in Beirut. Either he was drunk or the journalist didn't even get his facts straight.

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(Translation: I was born in the UK but I've got Lebanese and Syrian blood in my veins)

 

Seriously??? I can't believe he actually said so after all the times he said that he was born in Beirut. Either he was drunk or the journalist didn't even get his facts straight.

 

That's odd; he's never said that before, I don't think.

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MIKA: " have broken the wall of Homophobia and I'm not even scared"

 

"I react if attacked, I do not tread on me. And then there is an army of good guys ready to defend myself: Bowie, Cocteau, Cole Porter ...". The British artist-Lebanese-Syrian and judge of X-Factor, talks about homophobic bullies and free spirits. And he confesses: "I sing because I could not write"

 

Rome - If Italy has welcomed him with open arms, he says, it's all about his "caldezza" Mediterranean. "It was a surprise, I did not expect that this country would become part of my life," says Mika, that of his personal esperanto - but now he speaks fluent Italian - made a further element of sympathy. "I was born in England but I have blood in my veins Lebanese and Syrian - all this has influenced decisively my music and my visual universe." When in 2007 he triumphed in the charts all over the world with the single Grace Kelly and the album Life in Cartoon Motion, Italy was the least of his priorities. But then it is taken a mutual attraction, aided X-Factor, which he's the gentle and irresistible judge in this ninth edition.

 

But there is more after ten million copies sold: the success of the last album No Place in Heaven, a book published by Rizzoli in process "which is an extension of the column that I wrote on XL Repubblica", a tour of great theatrical impact made with all-Italian team (September 27 in Milan, 29 in Rome, 30 in Florence), "a bombshell of pop song" just registered with Fedez and a duet "with a super super big of the Italian song which I can not yet reveal the name, " so big that almost the eyes pop out of their sockets for joy, and come to think to Mina or Celentano.

 

Lunar, creative, dynamic, explosive on stage; affectionate, familiar, tender, optimistic on TV, Mika, thirty-two, is a presence that makes you think to the unforgettable Don Lurio. Then the ice of the summer. On a poster of the concert of Mika in Florence an idiot writes with paint Frocio in large letters. Once it would have gone unnoticed, we have seen hundreds of these insults, even on election posters, and not only in Italy. Today is another story, the global village fibril of conformity, different from when in the seventies it was rumored that Jagger and Bowie had fun and no one but the tabloids would warm so much.

Today, you're officially homosexual only after coming out - and Mika did it by cutting the head as we say. To amplify any banality the web has the primacy, socials are a sounding board more threatening than helpful. The insult to Mika became the event of the summer.

 

Did you feel betrayed by Italy when the writing homophobic began to circulate on the net?

"No. I was angry because when for so long you have suffered this type of violence you sink again and mercilessly in the past. A tremendous emotional reflection: I felt exactly like when as a teenager people made fun of me. In a microsecond I returned to school, when they mocking my sexuality and I had not yet discovered a sexuality. From that kind of feeling you do not come out, it does not change, I suppose it's the same if I had fifty or seventy-five years. "

 

What was your first reaction?

At first I tried to ignore it, thinking that silence was the best answer. I did the same of when I was a kid: pretend not to see, look the other way. Then I began to see the indignation of my fan club that grew and grew, and after ten hours I realized that pretend nothing has happened was a privilege that I could not afford. Out there, there are so many 14 years old or maybe even adults who do not have the freedom that I won through art, they do not have the free zone that is the stage where everything is permitted, even be themselves without bias, interferences, bullying. They are not allowed to look the other way, to ignore these insults without paying the consequences. I had to find a way to handle the situation, I began to use that image as a flag, I also slammed it on my twitter profile. I broke the wall of shame and silence, that fly over the bourgeois often follows such incidents ".

 

And the public response?

"Amazing, absolutely amazing. I did not expect. Solidarity is not only come from friends or fans, but incredibly even by the press. At that point, the photo with the writing was not something that was all about me but a poster, a J'accuse, a small wave that generated a bigger one and finally an enormous one ".

 

We used to believe that the pop star, who always play with the ambiguity, are immune to this kind of problems. Evidently, one thing is the allusions other is a coming out loud and clear as the one that artists like you, Michael Stipe and Tiziano Ferro did.

"I would not make a political fact. A singer is a singer and that's it. My public dimension is the one that I show on stage. I do it with discretion and kindness, I do not want to get into the lives of others or ripping apart families, I respect the choices even when they are diametrically opposed to mine, even when they propose a social or religious model that is not mine - a sort of gentlemen's agreement. But in front of violent behavior, aggressive or abusive my reaction changes. I refuse to step on me, I do not put myself on the mat, I didn't, not even in junior high when I could not follow the rest of the class because I was dyslexic. "

 

How does the music gave you a way to react positively without continuing to accumulate injuries?

"The art - film, music, literature - is always a call for tolerance. When I think of David Bowie I see an artist, a giant, who was able to communicate in a fully and powerfully creative way above the politics and sexuality. Ambiguous in the true sense of the word, a banner of freedom, indefinable, not to label ".

 

How could a boy to compensate the fear and discomfort of bullying? With dreams?

"They were not dreams, they were movies. It was my reality, my universe, I sank into them every day. At nine I got thrown out of school, I became the target of an hysterical teacher that she had decided to destroy me. Like the other children who had suffered her abuse I had locked in myself and I refused to speak. One day I walked away and I left my bag in the street. It was my sister Paloma to find out the truth and she told to my father. He came to school and told to the teacher what everyone thought of her: "Professor, you are a witch, we found out what you are doing to the kids." After twenty minutes we were to the principal's office, "Mr. Penniman, you and your son can not set foot in this school," he said. What a relief. It was the happiest day of my life, we went home dancing, singing "Ding dong the witch is dead" ("The witch is dead", from the Wizard of Oz). Dad said to me: "Can you not write? Can not read? Sing!". Then, spurred even by my mother, I began to study music, voice and piano, and in that way, free, I worked a hundred times more than at school. After ten months I was singing at the Royal Opera House in London. "

 

The good guys, the good boys of your song - Rufus Wainwright, James Dean, Bowie, Ralph Waldo Emerson, Wilfred Owen, Walt Whitman, Rimbaud, Kinsey, Cole Porter, Cocteau - were a small, imaginary army who worked in your defense.

"He still is, he sings me a lullaby, with him to the side I could face the end of the world and even the day of judgment."

 

But you sing even: where did all those good gay guys? It means that for gay artists today is more difficult to declare their sexuality?

"The reality is that today we do not have many gay icons, people uncomfortable even without being politicians, without meeting leaders and Presidents, without making speeches at the United Nations. Their strength was in what they wrote and sang, acted without thinking of the consequences. The fact of existing was already in itself revolutionary. they are the ones who have turned these strong colors in me, they gave me the courage to lead without fear. "

 

What will you say to the public during the concert in Florence?

"No message, no controversy, I will speak through the music and the energy of my fans. We will make noise together, to express joy and tolerance. The response to the insult is: we are here, we are many, we are strong."

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(Translation: I was born in the UK but I've got Lebanese and Syrian blood in my veins)

 

Seriously??? I can't believe he actually said so after all the times he said that he was born in Beirut. Either he was drunk or the journalist didn't even get his facts straight.

 

Certainly it's the latter, I think.

Edited by charlie20
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Certainly it's the latter, I think.

I think so too. We decided to jokingly call the Subs Team "I was born in Beirut" for the very reason that that's his most recurring sentence and he never misses a chance to say that. I refuse to believe Mika said he was born in the UK. It's weird just the same, though... why didn't the journalist check his info before publishing? It seems he couldn't be bothered to ask/do some researches and decided to make it up.

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http://www.panorama.it/musica/mika-xfactor9-edizione-italiana-imprevedibile/

 

Musica

 

Mika: "XFactor? Adoro l'edizione italiana, è imprevedibile"

 

Intervista al giudice del talent show tra televisione, la battaglia contro l'omofobia e il suo sentirsi "mediterraneo"

 

Maddalena Bonaccorso

 

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Sorride sempre, arrossisce se si parla della sua vita privata e quasi si commuove mentre spiega quanto sia stata partecipata la sua campagna contro l’omofobia, denominata #rompiamoilsilenzio, nata l’estate scorsa dopo l’imbrattamento, a Firenze, di un manifesto del suo trionfale tour estivo.

Michael Hollbrook Penniman Junior, in arte Mika, popstar internazionale di origini libanesi, è un campione di talento, sensibilità e gentilezza che in Italia ha messo d’accordo tutti: uomini, donne, nonni e bambini lo amano senza riserve dal primo momento in cui si è seduto dietro il banco dei giudici dell’edizione italiana di X Factor.

Trentadue anni compiuti da poco, alle spalle più di dieci milioni di dischi venduti, Mika ci racconta della sua esperienza a x Factor, del suo rapporto con l’Italia, delle sue origini da emigrante, ma soprattutto di un'“onda bella” di hashtag che possono cambiare la vita.

 

Facciamo un bilancio di questi due anni e mezzo di X factor: cosa l’ha divertita di più?

L’aspetto imprevedibile. È un programma molto reattivo, molto collegato ai social e non troppo programmato. C’è una sorta di libertà che è impressionante. Io conosco molto bene il sistema-televisione inglese, e anche un po’ quello americano, dato che tutta la mia famiglia ha lavorato lì nelle produzioni NBC. Ecco, quello anglosassone è un modo di fare televisione molto più programmato. E io penso che questa sorta di energia, che non è caotica, ma reattiva, di X Factor italiano, lo renda molto divertente. Siamo sempre in allerta, in attesa di una cosa nuova. Non è tutto scritto, e questa cosa si sente e si vede. E proprio per questo ha una freschezza che negli altri Paesi non c’è.

 

The video of the interview:

http://www.panorama.it/piattaforma_video/converted/9/3/2/2015091421/mika_hd.mp4

 

 

(For the video many, many thanks to Eriko! :)  :flowers2: )

 

Quest’estate il brutto episodio di omofobia di cui è stato vittima (a Firenze un manifesto del tour è stato imbrattato con un insulto a sfondo sessuale, ndr) ha portato alla ribalta la sua vita personale. Ne ha sofferto?

Faccio musica da 11 anni, con un pubblico in costante crescita a partire dal 2007. So bene che quando un musicista si mette in gioco ed entra nell’arena del palco, ci sono tante conseguenze. Io prima ne avevo paura: ma adesso non più.

In seguito a questo episodio, però, si è alzato un coro contro l’omofobia. Ne è rimasto soddisfatto?

È tutto molto più complesso. Posso dire però che sono molto commosso dal modo in cui tante persone, di ogni tipo ed età, che lavorano nella politica, nello show biz e persone “normali”, si sono messe in gioco. Hanno fatto un piccolo gesto per combattere l'omofobia e l'insieme dei loro piccoli gesti sono è diventato una sorta di onda bella, un’onda che andava nella giusta direzione. È diventata una cosa importante, per la mia vita quotidiana e per quella di tanti altri.  

 

Lei è arrivato in Italia due anni fa, da straniero. Ora è come se fosse italiano: com’è andata?

È una cosa strana. È come se per me, all’età di 29 anni si fosse aperta una nuova porta verso un nuovo Paese: ma in maniera “emozionale”. C’è una cultura che mi piace molto, c’è una nuova lingua che prima non parlavo, perché anche se l’avevo un po’ studiata a scuola per poter cantare, non ero in grado di fare dialogarci… C’è tutto un Paese che non conoscevo bene, e che adesso ho avuto la chance - e la voglia, enorme - di conoscere ancora di più. Mi fa un grande piacere, perché queste novità sono importantissime per me: andare avanti, fare cose che cambiano prospettiva, che fanno cambiare le abitudini, e che fanno anche un po’  paura”.

 

La paura è importante?

Certo. Io dico sempre che ci sono due cose che sono molto importanti nella vita: avere fame, sempre, e avere paura.

 

Le sue origini libanesi l’hanno forse aiutata a sentirsi “mediterraneo”?

Penso di sì, perché io sono un po’ zingaro. Sono un emigrante, da generazioni: mia mamma, mio nonno e il mio bisnonno erano emigranti. La stirpe di mio padre ha lasciato l’Irlanda e l’Inghilterra per andare in America, mia mamma ha origini siriane e libanesi ed è emigrata verso la Francia e poi l’Inghilterra. C’è dunque in me questa componente mediterranea che, anche se vivo a Londra dove ho casa e dove lavoro, è rimasta in me e mi ha aiutato ad apprezzare ancora di più la cultura italiana.

 

 

 

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I think it's much better to watch the video of the interview and listen to what Mika says, because the article is a kind of summary of it, with some inaccuracies and misstatements. I'll do the transcription and translation of what he says in the video in the next few days.

 

 

 

Here is the transcription in Italian, practically literal, of what Mika said in the interview in the video. If there is any corrections to be done, let me know, please!

I'm working on the translation and I'll post it as soon as it's ready.

 

Trancription in Italian  :italia: :

 

Io sono…eh, come diciamo? … una cosa strana, perché, da questo punto, dal momento che avevo 30 anni, 29/30 anni, c’è…è come se fosse una nuova porta che si è aperta per me, a un altro paese, ma in un modo quasi emozionale. Allora, c’è una cultura che mi piace un sacco, c’è una nuova lingua che non parlavo prima, che avevo studiato un po’ alla scuola per cantare, ma che non parlavo; c’è tutto un paese che non conoscevo così bene, ma che adesso ho avuto la chance e anche adesso ho la voglia, una voglia enorme di conoscere ancora di più. Ehm, e dunque quasi…mi fa  un enorme piacere perché queste novità sono importantissime per me, di andare avanti, di sempre fare delle cose che ti cambiano un po’ il prospettivo, cambiano le abitudini, ehm, e anche che mi fanno paura. E io dico sempre che la cosa…che ci sono due cose che sono molto importanti nella vita: avere fame, sempre, avere questa voglia, questa fame e, anche, sempre, di farsi paura.

 

Probabilmente, perché io sono un po’ uno zingaro, sono un emigrante, vengo da una famiglia di emigranti. Non solamente io, ma la generazione di mia madre, la generazione di mio nonno e la generazione di mio bisnonno siamo emigrati. Abbiamo preso… il mio padre da Irlanda e da Inghilterra, verso America; da/la ( * here I'm not sure what he says) mia madre siriano, libanese, tutto così, verso America, verso Francia, verso l’Inghilterra. E dunque c’è questo aspetto di…, questo aspetto mediterraneo, libanese, che ho sempre avuto, che a Londra.. è la mia città, io sono lì, ho sempre la mia casa lì, io vivo lì, io lavoro lì, ma questo aspetto mediterraneo, probabilmente, l’aspetto libanese mi ha aiutato per apprezzare ancora di più la cultura italiana, perché c’è un collegamento veramente forte.

 

Facendo un bilancio di questi 2 anni e mezzo di X Factor, cos’è che ti ha divertito di più e cos’è che ti ha arricchito di più?

 

L’aspetto improbabile, devo dire. La cosa che, se devo fare un bilancio e devo pensare alla cosa che mi piace di più, è che è un programma molto reattivo, molto collegato ai socials e anche molto.. non troppo programmato. C’è una sorta di libertà che è molto impressionante. Io conosco molto bene il sistema di televisione in Inghilterra, e anche un po’ in America. Tutta la mia famiglia ha lavorato in produzione, per esempio su NBC durante trent’anni. E’ un modo di fare la televisione molto più programmato, e io penso che questa sorta di energia un po più, non caotica, ma più reattiva, come fanno i programmi qua..e infatti è molto divertente perché siamo sempre un po’ così, siamo sempre un po’ aspettan(do), aspettiamo sempre un’altra cosa, non è tutto scritto, non è tutto programmato, e si sente e si vede. E, per questo, questo programma ha una sorta di freschezza che negli altri paesi non c’è.

 

Quando…Ho fatto musica adesso da 11 anni e ho avuto un po’ un salto verso il più grande pubblico dal 2007. Quando tocchiamo, quando un musicista entra un po’ in questa arena pubblica ci sono tante conseguenze. Io prima avevo paura di queste conseguenze, adesso non ho paura perché non mi sento come ho tanto da nascondere. Sì, voglio nascondere certe cose, assolutamente, perché sono un umano. Ho 32 anni, ho fatto delle cose che non voglio parlare, ma, di queste cose, beh, in generale, ehm, mettermi così e collegarmi anche a delle cose che sono molto importanti, socialmente, alla mia vita, alle mie scelte, questa è la cosa importante, e il mio futuro, questo è una cosa essenziale da fare.

Ho fatto un tour, uhm, questa.. alcuni festivali (festivals) e un grande tour che inizia una settimana, che farà il giro del mondo. E questa estate ci stati tanti momenti e anche una grande cosa che ha messo veramente sotto la luce, ehm, delle cose nella mia vita personale, e soprattutto sull’omofobia. (Ehm,) e non posso dire che sono soddisfatto del risultato perché non funziona così, non c’è una soddisfazione perché.. non è così, è molto più complesso. Io sono.., ma posso dire sinceramente che sono molto, quasi commosso dal modo che tante persone, da tanti diversi livelli, anche diverse età, da delle persone che lavorano nella politica, delle persone che lavorano nello show biz, le persone normali, che.., gli avvocati, da 13 anni fino a 60 anni, si sono messi, hanno messo una sorta di…si sono collegati a questo soggetto contro l’omofobia, per fare un piccolo gesto per combattere. E questo piccolo gesto è una cosa piccola che quasi è.., che prende 30 secondi, ma in totale quello che è successo questa estate era un po’ il risultato di tante persone che hanno fatto questo piccolo gesto contro la discriminazione. Allo stesso tempo, è diventato una sorta di onda bella. Una onda che andava nella giusta direzione con una bella intenzione. E dunque questa sorta di collettività per una cosa che è molto importante per la mia vita, non in un senso politico, ma la mia vita quotidiana, e anche la vita di tanti altri.

 

Here the translation in English  :uk:  of what Mika said in the interview in the video:

 

I'm ... um, how do you say? ... It’s a strange thing, because, at this point, since I was 30 years old, 29/30 years old, there  is... it's as if, a new door has been opened for me, to another country, but in an almost emotional way. So, there is a culture that I like a lot, there is a new language that I didn’t speak before, which I had studied a little at the singing school, but I didn’t speak it; there's a whole country that I didn’t know so well, but now I had the chance, and even now I have the desire, a huge desire to know even more. Um, so ...almost.. it gives me an enormous pleasure because these changes are very important for me, to go forward, of always to do things that (will) change a little your perspective, change the habits, um, and also, that make fearful ((that scare me/which I am scared of). And I always say that the thing ... that there are two things that are very important in life: to be hungry, always have this desire, this hunger and, also, always, to scare/frighten yourself.
 
Probably because I'm a little a gypsy, I’m an emigrant, I come from a family of emigrants. Not only me, but my mother's generation, the generation of my grandfather and the generation of my great-grandfather, we are emigrated. We took ... the family/lineage of my father from Ireland and England towards America; from my mother's side the origins are Syrian, Lebanese, all like that/in this way, towards America, towards France, towards England. And so there is this aspect of ..., this Mediterranean, Lebanese aspect, which I have always had, that in London .. it’s my city, I'm there, I always have my house there, I live there, I work there, but this Mediterranean aspect, probably, the Lebanese aspect helped me to appreciate even more the Italian culture, because there's a really strong connection.
 
Taking stock of these 2 years and a half of X Factor, what you enjoyed the most and what enriched you the most?
 
The unlikely/improbable aspect, I must say. The thing that, if I have to take stock and I have to think the thing that I like the most, is that it’s a very reactive program, very connected to socials and also very .. not too planned. There is a kind of freedom that is very impressive. I know very well the television system in England, and even a little in America. My whole family worked in production, for example on NBC, during thirty years. It's a way of making television much more planned, and I think that this kind of energy a little more, not chaotic, but more reactive, like they do the programs here .. and in fact it’s very funny because we're always a little so.., we are always a little expect (ing), always expect something else, it’s not all written, not all planned, and you can feel it and you can see it. And, for this (reason), this program has a kind of freshness that there is not in other countries.
 
When… I have made music, now, from 11 years and I have had practically a jump toward the largest public from 2007. When we touch/experience.., when a musician enters a little in this public arena there are many consequences. Before I was afraid of these consequences, now I'm not afraid because I don’t feel like I have much to hide. Yes, I want to hide certain things, absolutely, because I am a human being. I'm 32 years old, I did some things I don’t want to talk about, but, of these things, well, in general, um, to expose myself and to connect myself also to the things that are very important, socially, to my life, to my choices, this is the important thing, and to my future, this is an essential thing to do.
 
I did a tour, um, this .. some festivals and I have a big tour that begins in a week, which will go around the world. And this summer there have been many moments and also a great thing that really focused the attention on, um, some things about my personal life, and especially about homophobia.
Um, and I can’t say I'm satisfied with the result because it doesn’t work in this way, there isn’t a satisfaction because .. it’s not like that, it is much more complex/ complicated. I am.., but I can honestly say that I am very, almost moved by how so many people, from so many different levels, also different ages, from some people who work in politics, of the people working on the show biz, normal people, that .., lawyers, from 13 years to 60 years, they have, they put some kind of ... they connected to this subject against homophobia, to make a small gesture to fight. And this small gesture is a small thing that is almost .., which takes 30 seconds, but in total what happened this summer was in some way the result of many people who have made this small gesture against discrimination. At the same time, it has become a kind of beautiful wave. A wave that was going in the right direction with a good intention. So this sort of collectivity for a thing that is very important for my life, not in a political sense, but my daily life, and also the lives of many others.
Edited by charlie20
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And these are the introduction of the article and the questions, in the order they are in the video:

 

Mika: "XFactor? I love the Italian edition, it is unpredictable"

 

Interview with the judge of the talent show between television, the battle against homophobia and his to feel "Mediterranean"

 

He always smiles, blushes when we talk about his private life and he’s almost moved while he explains how much participation had his campaign against the omofobia, called #rompiamoilsilenzio, born last summer after the defacing of a poster of his triumphant summer tour.

 

Michael Penniman Hollbrook Junior, aka/known professionally as Mika, international pop star of Lebanese origin, is a champion of talent, sensitivity and kindness who in Italy put everyone in agreement: men, women, grandparents and children love him without reservations from the first moment in which he has sat behind the table of the judges of the Italian edition of X Factor.

Thirty-two years old recently, with more than ten million records sold behind him, Mika tells us about his experience at X Factor, his connection with Italy, his origins as an emigrant, but above all of a' "beautiful wave" of an hashtag that can change the life.

 

You came to Italy two years ago, as a foreigner. Now it's as if you were Italian: what happened/how did it go?

 

Have your Lebanese origins perhaps helped you to feel "Mediterranean?"

 

Taking stock of these 2 years and a half of X Factor, what you enjoyed the most and what enriched you the most?

 

This summer the bad episode (/incident) of homophobia of which you were the victim (in Florence, a poster of his tour was smeared/defaced with a sexual insult, editor's note), has brought/put into the limeligth your personal life. Have you suffered for it?

 

Following this episode, however, a chorus has risen/stood up against homophobia. Were you satisfied with/of it?

Edited by charlie20
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A new micro-interview today on Vivi Milano

 

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Mika: "I tell you about Heaven and Hell"

 

The pop star meets readers in Milan. While on the forum's stage he brings the new show (already sold out): "Nothing led screens and projections, climb up on my magic wagon..."

 

A concert, a meeting with readers of Corriere, the episodes of "X Factor." For those who like Mika is the perfect autumn. The pop star is on tour and he will be at the Forum on 27 with his new show. The next day he'll meet the readers. And here he anticipates what there will be on stage. "I had thought of a show with a  Zeffirelli style: a scene based on an abandoned factory. When I chose the songs I had a moment of panic: I was a puppet there in the middle. I threw everything and started from scratch. "

 

And what came out?

 

"Some time ago, a girl approached me and gave me a series of photographs of carnival floats about important  issues, from the Italian politics to Europe... They interested me a lot but I didn't have her contacts. I searched her via Twitter and I found her. They are the guys of the "Società Oca Giuliva" of San Giovanni in Persiceto. Together with them, my brother (who is an architect) and with designers, who are internationally renowned, of Studio Job have been working for three days without stopping. At least it's a show based on a magic wagon: there won't be LED screens, there won't be projections. We have created a context pop-play that talks about Heaven and Hell, and that leaves open the question of what is one and what the other. "

 

About Paradise, "No place in Heaven" is the title of your latest album: working to the show you've found your place up there?

"I won't find that. And once dead, I will return to Earth in the form of a duck. "

 

A duck?

"They are the happiest animals of the world. They have everything, they stay always in family and with friends and they are always on vacation in a warm place. "

 

Milan is now one of your second homes. How are you there?

"There's a lot of hidden beauty. It is a city that I really like, is almost melancholy. While in Paris when I'm alone I feel very lonely, in Milan it is easier to make friends. It is a city that has all the potential to be important in the world in terms of culture, art, economics. "

 

Since, both in the center-right than in the center-left, there are not candidates, we launch Mika as a  mayor. What would you do to develop that potential?

(he laughs) I feel a great desire to work and do business. Everyone want that the bureaucracy and the politics fit at last to this enthusiasm.

 

You have always spoken freely about your homosexuality, but tell about gay icons in a song like "Good Guys" and make even a single is even more courageous ...

"I didn't do calculations, I did not want to make politics or a statement of intent. For me it is a beautiful song with a text that is honest because it reflects the point where they are in my life. Each artist has ups and downs in his career, but it's always been honest artistically can overcome them effortlessly. "

 

 

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New interview!! http://www.onstageweb.com/interviste/mondo-di-mika-spiegato-da-lui/

 

 

Mika ci ha spiegato perché non può avere storie d’amore come tutti gli altri

 

È il grande protagonista di questo autunno: tre concerti nei palazzetti italiani e il ruolo da giudice “anziano” di X Factor su Sky. Ma la sua mente è già proiettata al futuro. Tra Asia e Dario Fo, Mika ci ha fatto entrare nel suo «mondo parallelo», parlando senza filtri di tutto: sessualità e religione, amore e politica, odio e tolleranza. E, naturalmente, tanta musica. Tratto da Onstage Magazine n. 79 di settembre-ottobre 2015

«L’Italia è sempre stata una porta tra l’Europa e il mondo orientale, africano e arabo. Io sono americano, libanese, siriano, cresciuto in Francia e poi a Londra. È ovvio che mi senta a mio agio nei paesi latini perché non posso dimenticare questo calore che c’è nella mia famiglia. E anche se in futuro non sarò in Italia, questo Paese sarà sempre nel mio cuore». La mia intervista con Michael Penniman Junior si chiude con una frase che sembra un commiato anticipato, proprio in mezzo al suo terzo anno “italiano”, con tre concerti nei palazzetti e la sedia di giudice di X Factor pronta a essere occupata fino alla fine del 2015. Mika non nasconde l’eventualità di un addio, e non fa nulla per nasconderlo. «Oggi sono un musicista che non fa altro che creare, scrivere musica, fare tour, fare programmi televisivi, scrivere articoli per i giornali, fare programmi radio. Tutto questo io posso farlo perché non c’è nient’altro che mi distrae e la mia vita in un certo senso è totalmente in secondo piano. Ma se farò lo stesso tra cinque anni vorrà dire che sarò noioso, che non sarò cambiato».

Sono riflessioni che mostrano una maturità raggiunta su due fronti, anche se l’uomo Michael e l’artista Mika sono piuttosto diversi. Lo ammette lui stesso quando mi spiega che l’arte per lui è sempre stata un «mondo parallelo», una via di fuga grazie alla quale non dover affrontare i problemi della vita quotidiana. Su un aspetto però i due Mika si assomigliano: il continuo stimolo a ragionare e riflettere, per non rimanere sempre uguali a se stessi. È raro che un cantante sia disposto a parlare non solo della propria musica, ma anche del sé privato e delle proprie convinzioni. Mika lo fa con grandeserenità, come se non si trattasse di un’intervista ma di una chiacchierata tra amici, spaziando dal rapporto con sua madre al suo modo di amare, dalla sua idea di Europa alla sua fede in Dio. Fino a parlarci di un progetto al quale tiene molto e che ha a che fare con Dario Fo e una nuova generazione di artisti e intellettuali. E che lo vede schierarsi su posizioni “di sinistra” .

Il nuovo album si apre con una canzone che parla di rapporti familiari. Quanto è autobiografica All She WantsMolto: parla di mia madre. Io e lei abbiamo parlato tanto e ci siamo confrontati. So che per il 90 per cento è felice di chi sono e di quello che faccio, ma allo stesso tempo in lei c’è una parte di malinconia perché io sarei stato un figlio fantastico e ancora più facile “da gestire” se fossi stato più tradizionale, con una moglie e dei bambini. Ma lei sa che io sono il risultato del percorso che ho avuto e che non può avere tutto. Così nella canzone ho deciso di parlare di quel 10 per cento che lei nasconde. Ognuno di noi nella vita ha un 10 per cento di sé che tiene nascosto e penso che sia la cosa più interessante da mostrare. Sono le parti oscure della nostra personalità, che abbiamo tutti e che rendono la vita un po’ più complicata ma anche più vera. Nel brano parlo di cose complicate che hanno dentro di sé anche qualcosa di drammatico, ma lo faccio con semplicità per renderle umane. E la semplicità può aiutare la tolleranza.

È naturale che un artista inserisca la propria visione del mondo in ciò che scrive, ma non sempre parla anche di se stesso come tu hai fatto in No Place In Heaven. Come è nata una canzone come Good Guys? Come un inno da chiesa, quasi come un brano religioso: è particolare perché non c’è mai l’esplosione, non c’è mai la grande nota dimostrativa, e c’è anche un ritornello collettivo. Per me è una canzone importante perché spiega la mia attitudine sulle tematiche di sessualità e identità. E poi perché non è una canzone semplice, nella quale mi do la possibilità e la libertà di criticare la politica sessuale. E quando dico “where have all the gays gone?”, non voglio dire che sono scomparsi: so che ce ne sono tanti, ma a volte la luce su queste persone è distorta. È molto più facile parlare di un cliché, di una cosa trash, che di persone brave, di eroi che non sono popolari. È una delle prime canzoni che ho scritto per l’album e mi sono chiesto nella vita reale e nella cultura pop di oggi dove siano personaggi di quel livello. Quegli eroi romantici e misteriosi dove sono? Penso non ce ne siano più tanti come prima. Trovo affascinante che certe persone l’abbiano presa male e altre molto bene.

Credo sia bello per un artista riuscire a provocare una reazione e un dibattito.Assolutamente, ma fa anche un po’ paura. È interessante notare risposte molto diverse da una generazione all’altra, perché chi è cresciuto negli anni Sessanta e Settanta ha prospettive molto diverse da chi si è formato nei decenni successivi.

Ci sono richiami alla religione in molte canzoni (penso per esempio a Promiseland). A prescindere dal tuo rapporto con la fede, che idea hai della spiritualità? L’album parla di due cose: l’identità, come sempre, e poi la fede, la religione. E anche il titolo, No Place In Heaven, è una sorta di denuncia, ma una denuncia tenera. Avevo già iniziato a farlo nell’album precedente, Origin Of Love, dove attacco tutti gli stereotipi e l’intolleranza politica della religione. E ricordati che io da bambino ho iniziato a lavorare nella musica proprio in chiesa: ero pagato per cantare nelle chiese. Sono stato formato da queste tradizioni, che fanno parte della mia vita, come della tua e di tutti coloro che sono cresciuti in Europa. Così in quella canzone ho avuto l’occasione di tirare fuori tutte queste accuse. Ma la mia è una dichiarazione d’amore, che arriva alla fine, come nel film The Mission: ringrazio Dio per avermi trovato. La fede per me è molto importante: quando mi confronto con una situazione difficile dico una preghiera e quando mi sento perso vado in chiesa.

Volere e dovere, essere e apparire. Sono sentimenti che ogni tanto proviamo tutti, ma un uomo di spettacolo, che lavora con la propria immagine, li affronta tutti i giorni. È più un limite’ o uno stimolo? Quando ero più giovane pensavo a come sarei potuto scappare, come se fossi stato in prigione. E il mio modo per farlo era creare un altro mondo, un universo parallelo dove potessi andare per evitare i problemi. Vivere nello show business mi ha dato la possibilità di liberarmi e penso che sia un enorme privilegio. Oggi tutti vogliono essere famosi, fare cinema, diventare popstar. Ma in realtà queste persone vogliono solo crearsi il proprio “altro mondo”, dove trovare un po’ di protezione. È per questo che ognuno di noi cerca una persona da amare. Un’altra persona con la quale costruire questo mondo intimo. Purtroppo le mie storie sono molto meno romantiche e belle di tutte le altre, perché un altro mondo ce l’ho già e i miei amori vengono sempre in secondo piano. So che è una cosa bruttissima, ma è così.

Hai scritto Last Party pensando a Freddie Mercury. I Queen sono stati importanti quasi per chiunque sia nato tra gli anni Settanta e Ottanta, ma immagino che per un musicista possano esserlo ancora di più. Sono sempre stato molto affascinato da come siano riusciti a fare musica melodica e classica, ma anche molto efficace in senso pop-rock, senza però diventare troppo teatrali. Esteticamente non me ne frega proprio nulla, ma da un punto di vista musicale sono stati fondamentali, anche per l’utilizzo della voce e dei cori. E poi c’è anche un altro aspetto: Mercury era un immigrato persiano ma inglese, e anche gli altri erano inglesi, ciascuno con un diverso background sociale. E venivano dal mondo dell’arte di Londra. Insomma c’erano molte cose in comune con la mia vita. Quando lui ha scoperto di essere malato di Aids, e a quei tempi era davvero una condanna a morte, la reazione che ha avuto con le droghe è stata molto violenta. Ho voluto mettere in una canzone quel contrasto tra una tristezza assoluta e un senso di esaltazione. E facendo questo ho parlato anche dell’epidemia di Aids in America durante gli anni Ottanta.

A proposito di teatralità, possiamo aspettarci qualcosa di simile ai video dei singoli anche dal vivo nei palazzetti? Intendo uno spettacolo più di suggestioni che di impressioni del momento. È assolutamente ciò che voglio fare, un qualcosa di molto forte che rimanga nella memoria della gente. I punti di riferimento per me sono il teatro visuale e il circo visuale di tante compagnie e registi, come per esempio Peter Sellers (non l’attore, ndr) o Robert Wilson. Sarà uno show molto efficace, pop-rock, ma con una teatralità che può trasportare la gente. È molto importante che sia uno show in grado di esistere un giorno anche senza di me. So che è strano pensare a un concerto senza il protagonista, ma l’intenzione è quella.

Quanto è importante l’improvvisazione? È fondamentale avere bene in testa come cominciare e come finire uno show. Poi in mezzo bisogna sentirsi liberi. Ho un linguaggio di segni che mi consente di “parlare” con i miei musicisti, che mi seguono con gli occhi per sapere dove andare. E per questo credo che i miei fan vengano a più date di uno stesso tour: ogni volta è diverso. In ogni caso le canzoni più famose sono sempre assolutamente riconoscibili, non voglio deludere nessuno.

Sei nato in Libano, cresciuto in Inghilterra, ma per lavoro hai vissuto anche in Francia e Italia: si può dire che tu sia il perfetto esempio di integrazione in un’Europa ideale che però non esiste ancora. Non so perché Israele partecipi all’Eurofestival e il Libano no. Non va mica bene… A parte le battute, una cosa mi sembra importantissima: dopo quello che è successo con la Grecia, è chiaro che essere europeo non c’entra nulla con l’euro. Sono due cose diverse. Penso che l’euro sia stato un errore, perché è stato molto difficile per alcuni Paesi uscire dall’ombra di altri economicamente molto più forti. E ha fatto male anche all’idea di Europa unificata. Oggi abbiamo paura in Europa: abbiamo paura di perdere soldi, di perdere la stabilità economica dei nostri Paesi. E queste paure provocano l’intolleranza. E l’intolleranza sociale promuove la radicalizzazione e l’estremismo politico. E anche l’intolleranza verso i migranti. Un’Europa senza una porta aperta non è Europa. C’è bisogno di un messaggio di unificazione!

Non pensi in questo senso che il mondo reale sia più avanti di quello istituzionale? Esattamente come è successo negli Stati Uniti con la sentenza della Corte suprema sui matrimoni gay.  Se devo dirti la verità, penso che quella sentenza sia stata una furbata. Una mossa politica. In questo modo gli Stati Uniti, esattamente come quando hanno eletto Barack Obama presidente, hanno rinforzato il brand America. Ma è comunque un fatto positivo: la positività, l’ottimismo e l’uguaglianza possono promuovere il successo socio-politico, e anche socio-economico. E possono anche mandare un messaggio al resto del mondo. Adesso un politico francese o italiano che sta facendo interviste contro l’uguaglianza apparirà meno moderno e progressista del più grande Paese del mondo: sembrerà un contadino di 20 anni fa.

Hai molto frequentato Dario Fo negli ultimi anni. È un interesse puramente umanistico o c’è l’idea di collaborare? Tutte e due le cose. Avevo studiato Dario Fo in Inghilterra e anche fatto una rappresentazione di Morte accidentale di un anarchico. Sono sempre stato molto affascinato da lui e dalla sua arte, da come per esempio l’assurdo possa servire per raccontare cose molto serie. Poi abbiamo iniziato a scrivere insieme, ma anche il modo di scrivere è diventato molto “dariofoesco”. Così ora devo trovare il modo di dare corpo a queste conversazioni che, da parte sua, sono molto interessanti perché è un uomo che non ha paura di parlare veramente di tutto. E questo è di grande ispirazione perché la sua anima è un’anima giovane. Quasi infantile. È un enfant terrible, nel vero senso del termine. Non come i giovani ricchi che si drogano e poi finiscono sulle copertine. I veri enfant terrible sono persone dolci, tenere, che non fanno rumore o litigano con i paparazzi, ma fanno discutere con la penna, con la testa, con il cuore, con quello che dicono e scrivono.

L’arte è uno strumento per rendere il mondo migliore? Senza esempi belli come possiamo sperare di coltivarne di nuovi? Dobbiamo sempre ricordare che la cultura si coltiva. E questo è il mio lato gauchiste. Fiscalmente non sono troppo gauchiste (ride,ndr), ma nella cultura e società lo sono molto perché penso che dobbiamo coltivare. Quando guardo i teatri d’opera in Italia sono molto triste, anche alla Scala a Milano: non ci sono giovani. In Germania invece i teatri sono pieni di persone giovani, perché hanno capito che coltivazione e cultura sono parole che non possono essere separate. Se noi dimentichiamo questa cosa, perdiamo tutto. Perdiamo l’identità di un intero Paese. E non possiamo sperare di riunificare le persone.

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New interview!! http://www.onstageweb.com/interviste/mondo-di-mika-spiegato-da-lui/

 

 

Mika ci ha spiegato perché non può avere storie d’amore come tutti gli altri

 

È il grande protagonista di questo autunno: tre concerti nei palazzetti italiani e il ruolo da giudice “anziano” di X Factor su Sky. Ma la sua mente è già proiettata al futuro. Tra Asia e Dario Fo, Mika ci ha fatto entrare nel suo «mondo parallelo», parlando senza filtri di tutto: sessualità e religione, amore e politica, odio e tolleranza. E, naturalmente, tanta musica. Tratto da Onstage Magazine n. 79 di settembre-ottobre 2015

«L’Italia è sempre stata una porta tra l’Europa e il mondo orientale, africano e arabo. Io sono americano, libanese, siriano, cresciuto in Francia e poi a Londra. È ovvio che mi senta a mio agio nei paesi latini perché non posso dimenticare questo calore che c’è nella mia famiglia. E anche se in futuro non sarò in Italia, questo Paese sarà sempre nel mio cuore». La mia intervista con Michael Penniman Junior si chiude con una frase che sembra un commiato anticipato, proprio in mezzo al suo terzo anno “italiano”, con tre concerti nei palazzetti e la sedia di giudice di X Factor pronta a essere occupata fino alla fine del 2015. Mika non nasconde l’eventualità di un addio, e non fa nulla per nasconderlo. «Oggi sono un musicista che non fa altro che creare, scrivere musica, fare tour, fare programmi televisivi, scrivere articoli per i giornali, fare programmi radio. Tutto questo io posso farlo perché non c’è nient’altro che mi distrae e la mia vita in un certo senso è totalmente in secondo piano. Ma se farò lo stesso tra cinque anni vorrà dire che sarò noioso, che non sarò cambiato».

Sono riflessioni che mostrano una maturità raggiunta su due fronti, anche se l’uomo Michael e l’artista Mika sono piuttosto diversi. Lo ammette lui stesso quando mi spiega che l’arte per lui è sempre stata un «mondo parallelo», una via di fuga grazie alla quale non dover affrontare i problemi della vita quotidiana. Su un aspetto però i due Mika si assomigliano: il continuo stimolo a ragionare e riflettere, per non rimanere sempre uguali a se stessi. È raro che un cantante sia disposto a parlare non solo della propria musica, ma anche del sé privato e delle proprie convinzioni. Mika lo fa con grandeserenità, come se non si trattasse di un’intervista ma di una chiacchierata tra amici, spaziando dal rapporto con sua madre al suo modo di amare, dalla sua idea di Europa alla sua fede in Dio. Fino a parlarci di un progetto al quale tiene molto e che ha a che fare con Dario Fo e una nuova generazione di artisti e intellettuali. E che lo vede schierarsi su posizioni “di sinistra” .

Il nuovo album si apre con una canzone che parla di rapporti familiari. Quanto è autobiografica All She WantsMolto: parla di mia madre. Io e lei abbiamo parlato tanto e ci siamo confrontati. So che per il 90 per cento è felice di chi sono e di quello che faccio, ma allo stesso tempo in lei c’è una parte di malinconia perché io sarei stato un figlio fantastico e ancora più facile “da gestire” se fossi stato più tradizionale, con una moglie e dei bambini. Ma lei sa che io sono il risultato del percorso che ho avuto e che non può avere tutto. Così nella canzone ho deciso di parlare di quel 10 per cento che lei nasconde. Ognuno di noi nella vita ha un 10 per cento di sé che tiene nascosto e penso che sia la cosa più interessante da mostrare. Sono le parti oscure della nostra personalità, che abbiamo tutti e che rendono la vita un po’ più complicata ma anche più vera. Nel brano parlo di cose complicate che hanno dentro di sé anche qualcosa di drammatico, ma lo faccio con semplicità per renderle umane. E la semplicità può aiutare la tolleranza.

È naturale che un artista inserisca la propria visione del mondo in ciò che scrive, ma non sempre parla anche di se stesso come tu hai fatto in No Place In Heaven. Come è nata una canzone come Good Guys? Come un inno da chiesa, quasi come un brano religioso: è particolare perché non c’è mai l’esplosione, non c’è mai la grande nota dimostrativa, e c’è anche un ritornello collettivo. Per me è una canzone importante perché spiega la mia attitudine sulle tematiche di sessualità e identità. E poi perché non è una canzone semplice, nella quale mi do la possibilità e la libertà di criticare la politica sessuale. E quando dico “where have all the gays gone?”, non voglio dire che sono scomparsi: so che ce ne sono tanti, ma a volte la luce su queste persone è distorta. È molto più facile parlare di un cliché, di una cosa trash, che di persone brave, di eroi che non sono popolari. È una delle prime canzoni che ho scritto per l’album e mi sono chiesto nella vita reale e nella cultura pop di oggi dove siano personaggi di quel livello. Quegli eroi romantici e misteriosi dove sono? Penso non ce ne siano più tanti come prima. Trovo affascinante che certe persone l’abbiano presa male e altre molto bene.

Credo sia bello per un artista riuscire a provocare una reazione e un dibattito.Assolutamente, ma fa anche un po’ paura. È interessante notare risposte molto diverse da una generazione all’altra, perché chi è cresciuto negli anni Sessanta e Settanta ha prospettive molto diverse da chi si è formato nei decenni successivi.

Ci sono richiami alla religione in molte canzoni (penso per esempio a Promiseland). A prescindere dal tuo rapporto con la fede, che idea hai della spiritualità? L’album parla di due cose: l’identità, come sempre, e poi la fede, la religione. E anche il titolo, No Place In Heaven, è una sorta di denuncia, ma una denuncia tenera. Avevo già iniziato a farlo nell’album precedente, Origin Of Love, dove attacco tutti gli stereotipi e l’intolleranza politica della religione. E ricordati che io da bambino ho iniziato a lavorare nella musica proprio in chiesa: ero pagato per cantare nelle chiese. Sono stato formato da queste tradizioni, che fanno parte della mia vita, come della tua e di tutti coloro che sono cresciuti in Europa. Così in quella canzone ho avuto l’occasione di tirare fuori tutte queste accuse. Ma la mia è una dichiarazione d’amore, che arriva alla fine, come nel film The Mission: ringrazio Dio per avermi trovato. La fede per me è molto importante: quando mi confronto con una situazione difficile dico una preghiera e quando mi sento perso vado in chiesa.

Volere e dovere, essere e apparire. Sono sentimenti che ogni tanto proviamo tutti, ma un uomo di spettacolo, che lavora con la propria immagine, li affronta tutti i giorni. È più un limite’ o uno stimolo? Quando ero più giovane pensavo a come sarei potuto scappare, come se fossi stato in prigione. E il mio modo per farlo era creare un altro mondo, un universo parallelo dove potessi andare per evitare i problemi. Vivere nello show business mi ha dato la possibilità di liberarmi e penso che sia un enorme privilegio. Oggi tutti vogliono essere famosi, fare cinema, diventare popstar. Ma in realtà queste persone vogliono solo crearsi il proprio “altro mondo”, dove trovare un po’ di protezione. È per questo che ognuno di noi cerca una persona da amare. Un’altra persona con la quale costruire questo mondo intimo. Purtroppo le mie storie sono molto meno romantiche e belle di tutte le altre, perché un altro mondo ce l’ho già e i miei amori vengono sempre in secondo piano. So che è una cosa bruttissima, ma è così.

Hai scritto Last Party pensando a Freddie Mercury. I Queen sono stati importanti quasi per chiunque sia nato tra gli anni Settanta e Ottanta, ma immagino che per un musicista possano esserlo ancora di più. Sono sempre stato molto affascinato da come siano riusciti a fare musica melodica e classica, ma anche molto efficace in senso pop-rock, senza però diventare troppo teatrali. Esteticamente non me ne frega proprio nulla, ma da un punto di vista musicale sono stati fondamentali, anche per l’utilizzo della voce e dei cori. E poi c’è anche un altro aspetto: Mercury era un immigrato persiano ma inglese, e anche gli altri erano inglesi, ciascuno con un diverso background sociale. E venivano dal mondo dell’arte di Londra. Insomma c’erano molte cose in comune con la mia vita. Quando lui ha scoperto di essere malato di Aids, e a quei tempi era davvero una condanna a morte, la reazione che ha avuto con le droghe è stata molto violenta. Ho voluto mettere in una canzone quel contrasto tra una tristezza assoluta e un senso di esaltazione. E facendo questo ho parlato anche dell’epidemia di Aids in America durante gli anni Ottanta.

A proposito di teatralità, possiamo aspettarci qualcosa di simile ai video dei singoli anche dal vivo nei palazzetti? Intendo uno spettacolo più di suggestioni che di impressioni del momento. È assolutamente ciò che voglio fare, un qualcosa di molto forte che rimanga nella memoria della gente. I punti di riferimento per me sono il teatro visuale e il circo visuale di tante compagnie e registi, come per esempio Peter Sellers (non l’attore, ndr) o Robert Wilson. Sarà uno show molto efficace, pop-rock, ma con una teatralità che può trasportare la gente. È molto importante che sia uno show in grado di esistere un giorno anche senza di me. So che è strano pensare a un concerto senza il protagonista, ma l’intenzione è quella.

Quanto è importante l’improvvisazione? È fondamentale avere bene in testa come cominciare e come finire uno show. Poi in mezzo bisogna sentirsi liberi. Ho un linguaggio di segni che mi consente di “parlare” con i miei musicisti, che mi seguono con gli occhi per sapere dove andare. E per questo credo che i miei fan vengano a più date di uno stesso tour: ogni volta è diverso. In ogni caso le canzoni più famose sono sempre assolutamente riconoscibili, non voglio deludere nessuno.

Sei nato in Libano, cresciuto in Inghilterra, ma per lavoro hai vissuto anche in Francia e Italia: si può dire che tu sia il perfetto esempio di integrazione in un’Europa ideale che però non esiste ancora. Non so perché Israele partecipi all’Eurofestival e il Libano no. Non va mica bene… A parte le battute, una cosa mi sembra importantissima: dopo quello che è successo con la Grecia, è chiaro che essere europeo non c’entra nulla con l’euro. Sono due cose diverse. Penso che l’euro sia stato un errore, perché è stato molto difficile per alcuni Paesi uscire dall’ombra di altri economicamente molto più forti. E ha fatto male anche all’idea di Europa unificata. Oggi abbiamo paura in Europa: abbiamo paura di perdere soldi, di perdere la stabilità economica dei nostri Paesi. E queste paure provocano l’intolleranza. E l’intolleranza sociale promuove la radicalizzazione e l’estremismo politico. E anche l’intolleranza verso i migranti. Un’Europa senza una porta aperta non è Europa. C’è bisogno di un messaggio di unificazione!

Non pensi in questo senso che il mondo reale sia più avanti di quello istituzionale? Esattamente come è successo negli Stati Uniti con la sentenza della Corte suprema sui matrimoni gay.  Se devo dirti la verità, penso che quella sentenza sia stata una furbata. Una mossa politica. In questo modo gli Stati Uniti, esattamente come quando hanno eletto Barack Obama presidente, hanno rinforzato il brand America. Ma è comunque un fatto positivo: la positività, l’ottimismo e l’uguaglianza possono promuovere il successo socio-politico, e anche socio-economico. E possono anche mandare un messaggio al resto del mondo. Adesso un politico francese o italiano che sta facendo interviste contro l’uguaglianza apparirà meno moderno e progressista del più grande Paese del mondo: sembrerà un contadino di 20 anni fa.

Hai molto frequentato Dario Fo negli ultimi anni. È un interesse puramente umanistico o c’è l’idea di collaborare? Tutte e due le cose. Avevo studiato Dario Fo in Inghilterra e anche fatto una rappresentazione di Morte accidentale di un anarchico. Sono sempre stato molto affascinato da lui e dalla sua arte, da come per esempio l’assurdo possa servire per raccontare cose molto serie. Poi abbiamo iniziato a scrivere insieme, ma anche il modo di scrivere è diventato molto “dariofoesco”. Così ora devo trovare il modo di dare corpo a queste conversazioni che, da parte sua, sono molto interessanti perché è un uomo che non ha paura di parlare veramente di tutto. E questo è di grande ispirazione perché la sua anima è un’anima giovane. Quasi infantile. È un enfant terrible, nel vero senso del termine. Non come i giovani ricchi che si drogano e poi finiscono sulle copertine. I veri enfant terrible sono persone dolci, tenere, che non fanno rumore o litigano con i paparazzi, ma fanno discutere con la penna, con la testa, con il cuore, con quello che dicono e scrivono.

L’arte è uno strumento per rendere il mondo migliore? Senza esempi belli come possiamo sperare di coltivarne di nuovi? Dobbiamo sempre ricordare che la cultura si coltiva. E questo è il mio lato gauchiste. Fiscalmente non sono troppo gauchiste (ride,ndr), ma nella cultura e società lo sono molto perché penso che dobbiamo coltivare. Quando guardo i teatri d’opera in Italia sono molto triste, anche alla Scala a Milano: non ci sono giovani. In Germania invece i teatri sono pieni di persone giovani, perché hanno capito che coltivazione e cultura sono parole che non possono essere separate. Se noi dimentichiamo questa cosa, perdiamo tutto. Perdiamo l’identità di un intero Paese. E non possiamo sperare di riunificare le persone.

 

thanks a lot for sharing it!

 

Mika always says that he isn't romantic, and I understand what he means, but his songs often say the opposite, or at least he certainly shows in them his love to his partner  :) .

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thanks a lot for sharing it!

 

Mika always says that he isn't romantic, and I understand what he means, but his songs often say the opposite, or at least he certainly shows in them his love to his partner  :) .

 it depends by the songs (Staring at the sun or J'ai pas envie? Origin of love or Overrated?)  and in other interviews he says quite opposite things  :naughty:  maybe it depends on his current mood too  :mf_rosetinted:

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