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#Rompiamoilsilenzio - Mika's campaign against homophobia in Italy


robertina

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Lord Mika al Mandela - CorriereFiorentino.it

Voce inconfondibile, stile eccentrico. In estate il caso delle scritte omofobe a Firenze: offese che lui ha amplificato e distrutto di Edoardo Semmola

È «elegante» la parola più usata da chi lo conosce per descrivere Mika. Non si riferiscono (solo) al modo di vestire, caso mai rubricato in termini di «eccessivo», «stravagante». Mika, l’eleganza, la esprime nei comportamenti. Nel senso più «british» del termine, aplomb contraltare di una guizzante esuberanza che dice provenire dal retaggio libanese e siriano e che vediamo esplodere dai banchi dei giudici di X-Factor. E non sono le cinque ottave di estensione che la sua voce è capace di modulare — ne sarebbe orgoglioso il suo mito e maestro Freddie Mercury — e nemmeno gli sgargianti papillon, i neologismi spiritosi travestiti da gaffe linguistiche, le giacche alla Elton John o le camicie a pois che compongono il mosaico del primo impatto con il personaggio: il motivo per cui Mika piace, trasversalmente, è quel suo particolare modo di fare che lo rende incendiario di passioni sul palco e allo stesso tempo pompiere di qualsiasi focolare di polemica, con un sorriso e poche parole, sempre eleganti.

 

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È «elegante» la parola più usata da chi lo conosce per descrivere Mika. Non si riferiscono (solo) al modo di vestire, caso mai rubricato in termini di «eccessivo», «stravagante». Mika, l’eleganza, la esprime nei comportamenti. Nel senso più «british» del termine, aplomb contraltare di una guizzante esuberanza che dice provenire dal retaggio libanese e siriano e che vediamo esplodere dai banchi dei giudici di X-Factor. E non sono le cinque ottave di estensione che la sua voce è capace di modulare — ne sarebbe orgoglioso il suo mito e maestro Freddie Mercury — e nemmeno gli sgargianti papillon, i neologismi spiritosi travestiti da gaffe linguistiche, le giacche alla Elton John o le camicie a pois che compongono il mosaico del primo impatto con il personaggio: il motivo per cui Mika piace, trasversalmente, è quel suo particolare modo di fare che lo rende incendiario di passioni sul palco e allo stesso tempo pompiere di qualsiasi focolare di polemica, con un sorriso e poche parole, sempre eleganti.

L’ultima volta è accaduto la scorsa estate con l’ormai celebre caso dell’imbrattamento omofobo compiuto da un anonimo imbecille del manifesto promozionale del concerto che stasera lo vedrà impegnato al Mandela Forum con il suo ultimo album No Place in Heaven (tutto esaurito da giorni). «Mi rifiuto di farmi calpestare, non mi metto a tappetino» è stata la sua risposta. Ha preso quell’immagine e l’ha trasformata nella sua arma, sbattendola su Instagram, mostrandola fino ad amplificarla, quindi a distruggerla con una carica di positività e ottimismo, il suo fare tenero, affettuoso, giocoso. Ha ribadito la necessità di riconoscere il diritto al matrimonio per gli omosessuali. E anche ad avere una famiglia. Ha scritto una delicata lettera al Corriere della Sera ideando l’hashtag #rompiamoilsilenzio. Il ritorno d’affetto dei suoi fan fu immediato. Non solo dei fan: la prima a comprare il biglietto per stasera è stata il ministro Boschi come segnale politico.

 

Non è diventato così grazie a un percorso di fama e successi, «lo è sempre stato» ricorda Mauro Valenti, ideatore di Arezzo Wave che per primo ha fatto conoscere Mika in Italia portandolo sul palco dell’Osmannoro l’anno dell’esplosione di Grace Kelly, estate 2007. «Mi sembrava un nuovo Freddy Mercury ma senza eccessi: disponibile, così gentile che gli alberghi di mezza Firenze fecero a gara per ospitarlo, gratis, e ancora non era famosissimo; un inglesino timido, quasi un piccolo lord, preciso come un orologio svizzero nei cambi palco, solare, allegro, con la dolcezza tipica delle persone molto sensibili nonostante sia potente e istrionico sul palco — prosegue il ricordo di Valenti — gli volevamo tutti bene in modo spontaneo dietro le quinte; chi fa il mio mestiere vorrebbe che tutti gli artisti fossero come lui». Anche allora subì attacchi omofobi: palloni con disegni osceni tirati da sotto il palco. Rispose con la musica, con classe.

 

Otto anni dopo la storia si ripete ma lui è ancora più forte e sicuro di sé, nel frattempo ha compiuto l’ufficiale coming out dichiarando la propria omosessualità. Una forza che Mika descrive come «un esercito immaginario» fatto di icone gay dell’arte e non solo, tanto potente da distruggere qualsiasi nemico: Rufus Wainwright, David Bowie, Walt Whitman, Rimbaud, Cole Porter. Ma al posto delle armi questo esercito combatte «cantandomi la ninnananna» scherza la pop star. «Con lui al fianco potrei affrontare anche il giorno del giudizio». Sarà anche merito di una storia difficile e complessa alle spalle se Mika è diventato un personaggio tanto brillante quanto unico nel suo genere. Dalla dislessia con i problemi di apprendimento nell’infanzia agli atteggiamenti effeminati per cui hanno iniziato a prenderlo di mira molto presto, e non sarà un caso se la prima canzone che ha scritto, considerando che aveva sette anni, si intitolava Angry («arrabbiato», cosa che però ha smesso di essere molto presto). Ma ancora prima per gli anni di Beirut, dove è nato e da dove è dovuto fuggire per la guerra civile, poi il coinvolgimento del padre nella Guerra del Golfo, l’incidente alla sorella maggiore Paloma da cui sono nati i brani Underwater e Origin of Love. «Il rischio che la fama oscuri la creatività c’è — dice — ma quella paura può trasformarsi nello stimolo a fare sempre qualcosa di più sincero, più bello, più coraggioso». Dimostrazione che quando diventi una star ma riesci a mantenere i piedi per terra non c’è scritta omofoba su un manifesto che possa toglierti il sorriso.

 
30 settembre 2015 | 11:56
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

Edited by Kumazzz
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