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Mika presents '100 giorni in Europa' for Corriere della Sera


Gabry74

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VK [HD] 2019.02.14 Mika a Bruxelles «Ecco perché mi sento europeo»

 

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Edited by Kumazzz
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https://www.corriere.it/elezioni-europee/100giorni/mika/

 

100 giorni in Europa    
Alla ricerca della luce perduta

 

Testo di Mika | Foto di Pietro Masturzo e della famiglia Penniman | Video di Pietro Masturzo, Lucio Arisci e Francesco Giambertone

 

SU QUESTO SPECIALE

Progetto di: Mara Gergolet, Marilisa Palumbo | Direzione creativa: Samuel Granados | Sviluppo: Marcello Campestrini, Fabio Mascheroni | Social: Federica Seneghini

Inviati: Francesco Battistini, Ivo Caizzi, Davide Casati, Marco Castelnuovo, Aldo Cazzullo, Alessandra Coppola, Michele Farina, Sara Gandolfi, Mara Gergolet, Francesco Giambertone, Marco Imarisio, Luigi Ippolito, Paolo Lepri, Viviana Mazza, Stefano Montefiori, Alessandra Muglia, Maria Serena Natale, Andrea Nicastro, Marilisa Palumbo, Martina Pennisi, Orsola Riva, Elisabetta Rosaspina, Simone Sabattini, Paolo Salom, Gianni Santucci, Monica Ricci Sargentini, Marta Serafini, Danilo Taino, Elena Tebano, Paolo Valentino

Special thanks: Barbara Stefanelli

Foto e video: Samuele Pellecchia, Francesco Giusti, Massimo Sciacca, Pietro Masturzo, Francesco Merlini, Mattia Vacca, Diambra Mariani, Raffaele Petralla, Annalisa Brambilla | Regia: Samuele Pellecchia | Photo Editor: Francesco Merlini | Montaggio: Camilla Bianchi, Fausta Riva, Leonardo Biancanelli, Cosimo Quartana | Coordinamento fotografi: Annalisa Brambilla

 

Special guest: Mika

 

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8 hours ago, Kumazzz said:

https://www.corriere.it/elezioni-europee/100giorni/mika/

 

100 giorni in Europa    
Alla ricerca della luce perduta

 

Testo di Mika | Foto di Pietro Masturzo e della famiglia Penniman | Video di Pietro Masturzo, Lucio Arisci e Francesco Giambertone

 

SU QUESTO SPECIALE

Progetto di: Mara Gergolet, Marilisa Palumbo | Direzione creativa: Samuel Granados | Sviluppo: Marcello Campestrini, Fabio Mascheroni | Social: Federica Seneghini

Inviati: Francesco Battistini, Ivo Caizzi, Davide Casati, Marco Castelnuovo, Aldo Cazzullo, Alessandra Coppola, Michele Farina, Sara Gandolfi, Mara Gergolet, Francesco Giambertone, Marco Imarisio, Luigi Ippolito, Paolo Lepri, Viviana Mazza, Stefano Montefiori, Alessandra Muglia, Maria Serena Natale, Andrea Nicastro, Marilisa Palumbo, Martina Pennisi, Orsola Riva, Elisabetta Rosaspina, Simone Sabattini, Paolo Salom, Gianni Santucci, Monica Ricci Sargentini, Marta Serafini, Danilo Taino, Elena Tebano, Paolo Valentino

Special thanks: Barbara Stefanelli

Foto e video: Samuele Pellecchia, Francesco Giusti, Massimo Sciacca, Pietro Masturzo, Francesco Merlini, Mattia Vacca, Diambra Mariani, Raffaele Petralla, Annalisa Brambilla | Regia: Samuele Pellecchia | Photo Editor: Francesco Merlini | Montaggio: Camilla Bianchi, Fausta Riva, Leonardo Biancanelli, Cosimo Quartana | Coordinamento fotografi: Annalisa Brambilla

 

Special guest: Mika

 

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This is Andy on the las photo!!!

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9 hours ago, silver said:

Any chance of a translation?  What does he say about Brexit?

He feels European. Europe is peace. Europeans defend the peace. Unfortunately we are moving aways by this idea and this is scary.

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CENTO GIORNI IN EUROPA, Bruxelles, Ue

 

Alla ricercadella luce perduta

 

Testo di Mika | Foto di Pietro Masturzo e della famiglia Penniman

Nato a Beirut e cresciuto tra Parigi e Londra,
Mika racconta come l’Europa è diventata
la sua patria. E perché adesso va difesa

 
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«Danzavamo con le lacrime agli occhi, anche quando erano esplose le bombe quello stesso pomeriggio»

Beirut, anni 80. Foto di famiglia slide02-horiz-k0SG-U31004428467177gB-192

«Avevamo adottato la regola del sufismo, vivere ogni giorno come fosse il nostro ultimo giorno»

La vista dalla casa di Mika a Beirut slide03-horiz-kuUD-U3100442846717EVF-192
 
Mika appena nato, con le sorelle, in braccio alla mamma Joannie
 

di Mika

«Non lasciavamo che fosse la nostra sofferenza a definirci, ma la nostra resistenza». Questo mi spiegava la mia prozia mentre sedevamo nel nostro appartamento nel sedicesimo arrondissement di Parigi. Il caffè che lei beveva era impreziosito dal cardamomo, schiumoso e dolce, quel profumo confuso nel suo respiro mentre mi parlava di Beirut, la città in cui era nata, tormentata dalla guerra civile. Avevo 7 anni, lei 64. Era il 1990, l’anno del cessate il fuoco. La mia famiglia si era trasferita a Parigi nell’85, espatriata dalle forze navali americane, lei ci aveva raggiunti l’anno successivo. Fumava sigarette e mi raccontava storie di Beirut, «la Parigi del Medio Oriente», della moschea alla fine della sua strada, del beach club dove aveva incontrato suo marito, e dei parrucchieri, che una volta avevano acconciato lo chignon di Elizabeth Taylor. «Era così bella, come Parigi ma con più colore. Uscivamo sempre, anche con le bombe, uscivamo comunque».

Per la maggior parte della mia vita, non mi sono mai fatto domande sul perché i miei genitori avessero scelto la Francia. Entrambi cittadini americani, mio padre un Wasp (white anglosaxon protestant, termine usato negli Stati Uniti per indicare i bianchi benestanti principalmente di origine britannica, ndr) che veniva da Savannah, Georgia e mia madre un’americana di prima generazione di famiglia siriana-libanese, avevano scelto Parigi dopo essere stati portati a Cipro nel pieno della guerra civile libanese. Non erano rifugiati e, poiché avevamo tutti il passaporto americano, saremmo potuti ritornare facilmente a vivere lì. Solo di recente, negli ultimi anni, da quando ho superato i trenta, ho cominciato a capire la loro scelta. Lo avevano fatto per noi, per i loro figli, per me

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«Capisco ora che i miei genitori non scelsero la Francia, scelsero l’Europa e così facendo mi resero europeo»

Mika

Lasciando Beirut, volevano una vita diversa da quella che potevano offrire gli Stati Uniti. Sentivano l’attrazione per un certo tipo di cultura, per un sentimento diverso della vita. Mi diceva che la luce era differente a Beirut, e che lei voleva che parte di quella luce rimanesse in noi, nei suoi figli, anche se non potevamo più vivere lì. Preferiva la luce di Parigi a quella degli Stati Uniti.

Capisco ora che i miei genitori non scelsero la Francia, scelsero l’Europa, e così facendo mi resero europeo. Capisco ora che la luce da cui erano attratti, quella che scelsero, era nata direttamente da un atto di volontà, una unione decisa negli anni ’50, ma che si era andata definendo molto prima, costruita sui pilastri dell’universalità, della pace e della libertà. Fin dal Rinascimento, artisti e scrittori insieme hanno costruito il concetto di Europa.

 

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Artisti di Paesi diversi del continente viaggiavano per lavoro, spinti dall’ispirazione per le reciproche culture e dal potere dello scambio artistico. Grazie alle loro idee, senza volerlo, si è andata intrecciando la prima tessitura dell’Unione dei Paesi europei. Liberi dai confini, sono stati questi scambi a produrre l’epoca più grande dai tempi dei romani e dei greci. Shakespeare ispirato dalla poesia e dai racconti italiani, Ibsen che viveva a Roma e debuttava con i suoi lavori in Germania.

 
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«Ho beneficiato enormemente di questa cultura, dello scambio e della possibilità di crescere e apprendere in Europa»

Mika
Il road trip per l’Italia nel 2013 gallery02-foto02-horiz-knyC-U31004428467

«È quello che ho imparato muovendomi, le lingue e tutto il resto, che mi ha dato la capacità di affrontare culture che non sono la mia senza paura, ma con curiosità e desiderio»

Mika
Il viaggio in Italia dei Penniman. Foto scattata da Mika
 

Nel preferire l’Europa agli Stati Uniti, i miei genitori erano guidati da un sogno, da una promessa. Un’anima europea. Questa anima europea è universale. Non appartiene solo a coloro che vivono in Europa, ma a ogni uomo e donna nel mondo. È questo il motivo per il quale, quando è veramente unita, l’Europa aiuta non solo gli europei, ma tutta l’umanità. L’universalità dell’Europa si espande oltre la sua presente area geografica.
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«E dall’Unione dalle sue libertà, nella fraternità dei popoli, nascerà l’empatia delle anime, prodotto di questo immenso futuro, la nascita della vita universale per la razza umana, e quella che chiameremo la pace dell’Europa».Victor HugoSCRITTORE, FRANCIA

Io sono nato a Beirut, cresciuto a Parigi, ho ricevuto la mia istruzione e completato la mia preparazione artistica nel Regno Unito. Ho beneficiato enormemente di questa cultura dello scambio e della possibilità di crescere e apprendere in Europa. È quello che ho imparato muovendomi, le lingue e tutto il resto, che mi ha dato la capacità di affrontare culture che non sono la mia senza paura, ma con curiosità e desiderio. Adesso vivo tra almeno tre Paesi, ma la mia identità è europea. Tecnicamente, come posso dimostrarlo? Nessun documento. Non ho passaporto, a parte quello statunitense, ma la mia coscienza patriottica, e la mia cultura, sono legate all’Europa.

Mi rifiuto di credere che l’ideologia e l’Unione su cui sono costruite la mia filosofia culturale e la mia stessa identità possano essere distrutte o svalutate. Questo è il mio patriottismo, questo sono io che proteggo il mio futuro e considero il significato del mio passato. È precisamente questa minaccia alla mia identità che mi ha spinto a riconsiderare cosa sia l’Europa e a rivalutare la mia stessa convinzione del suo valore futuro. Sento che viviamo un momento di compiacenza per un’epoca post nazionalista.

Devo ammettere che io stesso più di una volta ho seguito quella che definirei una tendenza anti-europeista. Sebbene ami molte delle nazioni che formano il nostro continente, mi vengono i brividi di fronte alla fredda e burocratica tecnocrazia rappresentata da Bruxelles. I suoi alienanti meccanismi politici interni. È chiaro che le cose devono cambiare e che non fare nulla, solo per preservare un’ideologia europea, non è un’opzione.

 

 

L’Europa adesso funziona meglio per alcuni europei che per altri, e a volte non siamo nemmeno perfettamente consapevoli di ciò che l’Europa abbia da offrire. È questo il motivo per cui non c’è mai stata così tanta necessità di una profonda indagine su cosa sia l’Europa, cosa faccia e non faccia, cosa potrebbe fare e cosa non dovrebbe fare.

Mi sento intimidito da Bruxelles e dalla sua burocrazia ma, anche se non posso votare a maggio, la mia identità europea vuole sapere cosa c’è davvero da difendere. Ho paura che il nazionalismo si limiterà a distruggere la nostra idea di universale, riducendolo a mera ideologia.

 

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«Non c’è Europa senza Lumi, e non ci sono Lumi senza Europa» Tzvetan TodorovFILOSOFO, BULGARIA

 

La guerra ha definito una parte della mia storia familiare. La guerra continua a fare a pezzi il nostro mondo, e a fare a pezzi noi. La riconciliazione dell’Europa dopo la Seconda Guerra mondiale è niente di meno che stupefacente. È stata possibile solo grazie al coraggio e alla fiducia sentita dagli europei negli anni ’50 e ’60. Una fiducia che ha guarito le ferite e che ha brillato come una luce. È come la Luce di cui parla Todorov ed è questa luce che tiene insieme l’Europa.

Una luce che ha brillato nel Rinascimento, nell’Illuminismo, nel boom e nell’ottimismo degli anni ’60. È la luce dei popoli che si sono sentiti pieni di potere, resistenti e fiduciosi. Oggi ci sentiamo meno fiduciosi e meno bene di quanto ci siamo sentiti negli ultimi sessant’anni. Magari non brilliamo così tanto, ma non dobbiamo pendere verso la parte più oscura della nostra storia europea, quella degli anni ’20 e ‘30. Allo stesso modo non possiamo permettere a nessuno di trarre vantaggio dalla nostra paura o mancanza di fiducia. La pace, come ha detto Roberto Saviano, «è l’eredità più grande di questa Europa». Io stesso, a 35 anni, sono cresciuto in un’Europa di pace. Cullato in una serenità dolce e privilegiata, perché la pace che altri hanno combattuto così duramente per conquistare, si è ora stabilita come una cultura della pace, all’interno della quale viviamo.

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La nostra casa di famiglia quando ero un ragazzo a Parigi si trovava al terzo piano di un quartiere della Parigi haussmanniana. I pavimenti erano in parquet sconnesso e le pareti erano bianche di modanature in gesso che avevano perso la loro forma originaria, e sembravano quasi fuori fuoco, coperte da due decenni di pittura bianca. Un’architettura completamente parigina. Ma nell’aria vibravano profumi e suoni di una cultura lontana, che aveva trovato casa in Europa. Caffè, cardamomo, fumo di sigaretta mischiato con l’aroma di un’arancia appena spremuta, e mobili che profumavano di olio e limone. Tutto accompagnato dal suono stridente degli archi di un vecchio nastro di Feiruz, il ritmo di un tamburo arabo e la corda intonata dell’oud.

I discorsi politici bassi e sussurrati degli uomini, le risate delle donne. I loro tagli di capelli catturati da una luce. Tutti noi uniti da quella luce, in essa ogni cosa era sospesa. Una luce che era in quell’appartamento e che non si trovava altrove. Una luce proveniente da un altro posto, portata da chi veniva a farci visita, fatta di resistenza e forza. Una luce potente e insieme calda e tenera.

Mia zia, i nostri amici, i nostri cugini, venivano per quella luce, per trovarla, mostrarla, alimentarla, ma soprattutto, in quel tempo di lotta, venivano tutti insieme perché non si perdesse. Questa luce che ci ha tenuti tutti insieme e che ha trovato la sua strada in me, ancor prima che sapessi cosa fosse o cosa facesse, è la stessa Luce di cui parla Todorov. La luce che c’è in me e in te, nelle parti migliori della Storia, quella luce che ci lega tutti come europei. Il cambiamento è necessario, ma riconoscere cos’è che dobbiamo difendere è ugualmente essenziale.

 
 
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«Ho beneficiato
enormemente
di questa cultura,
dello scambio
e della possibilità
di crescere e apprendere
in Europa»

Mika
Il road trip per l’Italia nel 2013 gallery02-foto02-horiz-knyC-U31004428467

«È quello che ho imparato
muovendomi,
le lingue e tutto il resto,
che mi ha dato la capacità
di affrontare culture
che non sono la mia
senza paura,
ma con curiosità e desiderio»

Mika
Il viaggio in Italia dei Penniman. Foto scattata da Mika
 

Nel preferire l’Europa agli Stati Uniti, i miei genitori erano guidati da un sogno, da una promessa. Un’anima europea. Questa anima europea è universale. Non appartiene solo a coloro che vivono in Europa, ma a ogni uomo e donna nel mondo. È questo il motivo per il quale, quando è veramente unita, l’Europa aiuta non solo gli europei, ma tutta l’umanità. L’universalità dell’Europa si espande oltre la sua presente area geografica.
hugo_1_afp-ktAC-U3100608111870pnF-320x320@Corriere-Web-Sezioni.jpg«E dall’Unione dalle sue libertà, nella fraternità dei popoli, nascerà l’empatia delle anime, prodotto di questo immenso futuro, la nascita della vita universale per la razza umana, e quella che chiameremo la pace dell’Europa».Victor HugoSCRITTORE, FRANCIA

Io sono nato a Beirut, cresciuto a Parigi, ho ricevuto la mia istruzione e completato la mia preparazione artistica nel Regno Unito. Ho beneficiato enormemente di questa cultura dello scambio e della possibilità di crescere e apprendere in Europa. È quello che ho imparato muovendomi, le lingue e tutto il resto, che mi ha dato la capacità di affrontare culture che non sono la mia senza paura, ma con curiosità e desiderio. Adesso vivo tra almeno tre Paesi, ma la mia identità è europea. Tecnicamente, come posso dimostrarlo? Nessun documento. Non ho passaporto, a parte quello statunitense, ma la mia coscienza patriottica, e la mia cultura, sono legate all’Europa.

Mi rifiuto di credere che l’ideologia e l’Unione su cui sono costruite la mia filosofia culturale e la mia stessa identità possano essere distrutte o svalutate. Questo è il mio patriottismo, questo sono io che proteggo il mio futuro e considero il significato del mio passato. È precisamente questa minaccia alla mia identità che mi ha spinto a riconsiderare cosa sia l’Europa e a rivalutare la mia stessa convinzione del suo valore futuro. Sento che viviamo un momento di compiacenza per un’epoca post nazionalista.

Devo ammettere che io stesso più di una volta ho seguito quella che definirei una tendenza anti-europeista. Sebbene ami molte delle nazioni che formano il nostro continente, mi vengono i brividi di fronte alla fredda e burocratica tecnocrazia rappresentata da Bruxelles. I suoi alienanti meccanismi politici interni. È chiaro che le cose devono cambiare e che non fare nulla, solo per preservare un’ideologia europea, non è un’opzione.

 

 

L’Europa adesso funziona meglio per alcuni europei che per altri, e a volte non siamo nemmeno perfettamente consapevoli di ciò che l’Europa abbia da offrire. È questo il motivo per cui non c’è mai stata così tanta necessità di una profonda indagine su cosa sia l’Europa, cosa faccia e non faccia, cosa potrebbe fare e cosa non dovrebbe fare.

Mi sento intimidito da Bruxelles e dalla sua burocrazia ma, anche se non posso votare a maggio, la mia identità europea vuole sapere cosa c’è davvero da difendere. Ho paura che il nazionalismo si limiterà a distruggere la nostra idea di universale, riducendolo a mera ideologia.

 

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La guerra ha definito una parte della mia storia familiare. La guerra continua a fare a pezzi il nostro mondo, e a fare a pezzi noi. La riconciliazione dell’Europa dopo la Seconda Guerra mondiale è niente di meno che stupefacente. È stata possibile solo grazie al coraggio e alla fiducia sentita dagli europei negli anni ’50 e ’60. Una fiducia che ha guarito le ferite e che ha brillato come una luce. È come la Luce di cui parla Todorov ed è questa luce che tiene insieme l’Europa.

Una luce che ha brillato nel Rinascimento, nell’Illuminismo, nel boom e nell’ottimismo degli anni ’60. È la luce dei popoli che si sono sentiti pieni di potere, resistenti e fiduciosi. Oggi ci sentiamo meno fiduciosi e meno bene di quanto ci siamo sentiti negli ultimi sessant’anni. Magari non brilliamo così tanto, ma non dobbiamo pendere verso la parte più oscura della nostra storia europea, quella degli anni ’20 e ‘30. Allo stesso modo non possiamo permettere a nessuno di trarre vantaggio dalla nostra paura o mancanza di fiducia. La pace, come ha detto Roberto Saviano, «è l’eredità più grande di questa Europa». Io stesso, a 35 anni, sono cresciuto in un’Europa di pace. Cullato in una serenità dolce e privilegiata, perché la pace che altri hanno combattuto così duramente per conquistare, si è ora stabilita come una cultura della pace, all’interno della quale viviamo.

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La nostra casa di famiglia quando ero un ragazzo a Parigi si trovava al terzo piano di un quartiere della Parigi haussmanniana. I pavimenti erano in parquet sconnesso e le pareti erano bianche di modanature in gesso che avevano perso la loro forma originaria, e sembravano quasi fuori fuoco, coperte da due decenni di pittura bianca. Un’architettura completamente parigina. Ma nell’aria vibravano profumi e suoni di una cultura lontana, che aveva trovato casa in Europa. Caffè, cardamomo, fumo di sigaretta mischiato con l’aroma di un’arancia appena spremuta, e mobili che profumavano di olio e limone. Tutto accompagnato dal suono stridente degli archi di un vecchio nastro di Feiruz, il ritmo di un tamburo arabo e la corda intonata dell’oud.

I discorsi politici bassi e sussurrati degli uomini, le risate delle donne. I loro tagli di capelli catturati da una luce. Tutti noi uniti da quella luce, in essa ogni cosa era sospesa. Una luce che era in quell’appartamento e che non si trovava altrove. Una luce proveniente da un altro posto, portata da chi veniva a farci visita, fatta di resistenza e forza. Una luce potente e insieme calda e tenera.

Mia zia, i nostri amici, i nostri cugini, venivano per quella luce, per trovarla, mostrarla, alimentarla, ma soprattutto, in quel tempo di lotta, venivano tutti insieme perché non si perdesse. Questa luce che ci ha tenuti tutti insieme e che ha trovato la sua strada in me, ancor prima che sapessi cosa fosse o cosa facesse, è la stessa Luce di cui parla Todorov. La luce che c’è in me e in te, nelle parti migliori della Storia, quella luce che ci lega tutti come europei. Il cambiamento è necessario, ma riconoscere cos’è che dobbiamo difendere è ugualmente essenziale.

 
 
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«Il cambiamento è necessario, ma riconoscere cos’è che dobbiamo difendere è ugualmente essenziale»

Su questa puntata

Alla ricerca della luce perduta

Testo di Mika | Foto di Pietro Masturzo e della famiglia Penniman | Video di Pietro Masturzo, Lucio Arisci e Francesco Giambertone

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Progetto di: Mara Gergolet, Marilisa Palumbo | Direzione creativa: Samuel Granados | Sviluppo: Marcello Campestrini, Fabio Mascheroni | Social: Federica Seneghini

Inviati: Francesco Battistini, Ivo Caizzi, Davide Casati, Marco Castelnuovo, Aldo Cazzullo, Alessandra Coppola, Michele Farina, Sara Gandolfi, Mara Gergolet, Francesco Giambertone, Marco Imarisio, Luigi Ippolito, Paolo Lepri, Viviana Mazza, Stefano Montefiori, Alessandra Muglia, Maria Serena Natale, Andrea Nicastro, Marilisa Palumbo, Martina Pennisi, Orsola Riva, Elisabetta Rosaspina, Simone Sabattini, Paolo Salom, Gianni Santucci, Monica Ricci Sargentini, Marta Serafini, Danilo Taino, Elena Tebano, Paolo Valentino

Foto e video: Samuele Pellecchia, Francesco Giusti, Massimo Sciacca, Pietro Masturzo, Francesco Merlini, Mattia Vacca, Diambra Mariani, Raffaele Petralla, Annalisa Brambilla | Regia: Samuele Pellecchia | Photo Editor: Francesco Merlini | Montaggio: Camilla Bianchi, Fausta Riva, Leonardo Biancanelli, Cosimo Quartana | Coordinamento fotografi: Annalisa Brambilla

Special thanks: Barbara Stefanelli

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posso dire più  seguo  Mika; più lo amo sia come artista ma soprattutto come persona... si vede che è vero, puro, genuino non arte fatto è una persona meravigliosa . i pround of Mika forever :cloud: poi si vede che è dolce ha la faccia pulita simpatico . Thank Mika

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41 minutes ago, Paoletta said:

posso dire più  seguo  Mika; più lo amo sia come artista ma soprattutto come persona... si vede che è vero, puro, genuino non arte fatto è una persona meravigliosa . i pround of Mika forever :cloud: poi si vede che è dolce ha la faccia pulita simpatico . Thank Mika

 

@Paoletta in english, please :hug:

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