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Mika's letter for Beirut, 9 August 2020


Gabry74

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On 8/9/2020 at 11:40 PM, Kumazzz said:

 

Corriere Della Sera

Domenica 9 Agosto 2020

 

 

page 1

 

DOPO LA TRAGEDIA
È un popolo allo stremob(Ma ce la farà. E sarò lì)

di Mika

 

La lettera del cantante Mikanalla sua Beirut.

«Domani ti risolleverai come hai sempre fatto. La musica tornerà a risuonare dalle finestre. E io sarò lì».


a pagina 11

 

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page 11

 

Il cantante
La lettera


«Soffro per il dolore della mia città in cenere Ma tornerà la musica dalle sue finestre»

 

Mia cara Beirut, è mattina presto da questa parte del Mar Mediterraneo, e mi sento al tempo stesso così vicino e così lontano da te. Così vicino a te, devastata dall’apocalisse, non riesco a smettere di guardare attonito i visi martoriati dei miei fratelli e delle mie sorelle.
Nei loro occhi intravedo il terrore, le lacrime. Mi vengono i brividi quando vedo quel ferito riverso sul lunotto posteriore di una vecchia auto, quella ragazza coperta di sangue tra le braccia del padre, quegli abitanti sconvolti che corrono per le strade cosparse di calcinacci, vetri rotti, mobili inceneriti… Così lontano da te, in balia dell’apocalisse, non riesco a
smettere di pensare al rumore assordante delle due esplosioni che continua a rimbombare nelle orecchie della gente.

Le grida delle famiglie in lutto e delle vittime frastornate si confondono con le sirene spiegate delle ambulanze nel cuore della notte.

Al telefono mi hanno raccontato anche del silenzio che regnava alle prime luci del giorno, dell’odore che si sprigionava dalle macerie fumanti. Di fronte a questo caos, ripenso a una frase del poeta libanese Khalil Gibran:

«Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte».
Da mesi avevi imboccato di nuovo la via della notte. C’erano le divisioni, l’eco dei conflitti alle frontiere, la corruzione, l’impotenza di chi ti governava, la crisi monetaria che ha gettato le famiglie nella miseria, e poi l’epidemia di Covid sempre più virulenta.

La leggerezza libanese, antidoto alle tragedie della storia, lasciava spazio alla rabbia e alla paura.
Giorno dopo giorno l’angoscia misaliva dentro, come se le tue ferite si riaprissero, come se le radici che ho lasciato all’età di un anno e mezzo mi riagguantassero.
E poi all’improvviso, martedì alle 18 e 10, una funesta nube grigia è salita dal porto, falcidiando un popolo allo stremo delle forze. Uno spesso fumo arancione ha offuscato il cielo di Beirut.

Ha preso il posto del lontano ricordo, tante volte rievocato da mia madre, della luce gialla che inondava il nostro appartamento al quarto piano affacciato sul mare. Come non leggere in quelle due esplosioni il simbolo di un sistema che va in pezzi.

Come non sentirci il frastuono delle bombe che seminavano morte per le tue strade ancora segnate dalle stigmate della guerra. Il premier Hassan Diab assicura che iresponsabili dovranno «risponderne».

Ma i responsabili di chi? Di cosa? I responsabili di trent’anni d’agonia che hanno trasformato il Paese dei cedri nel Paese delle ceneri. Dicono che la catastrofe sia un tragico epilogo.
L’ultima di una serie di disgrazie.
Dopo la notte arriverà l’alba.

Conosco la tua resilienza, lo spirito di solidarietà nutrito dall’amalgama di culture che contraddistingue questa terra a metà strada tra il mondo arabo e l’Europa.

Domani ti risolleverai come hai sempre fatto.

La musica tornerà a risuonare dalle finestre, i corpi danzeranno tra i tavoli all’aperto, i profumi si spanderanno dalle cucine.

E io sarò lì.

 

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